Gio. Nov 21st, 2024

Dipingere è un avvenimento che sposta continuamente il fuoco della visione, costringe a oltrepassare il cono ottico scrutando le ombre come impronte di una realtà supposta quale immagine. La dialettica artistica di Francesca Libardoni pare condurre a questo spazio indefinibile e indeterminato entro il quale la figura non viene riconosciuta se non come evocazione di sé medesima: il consistere dell’ombra, della luce nascosta, descrive il quadro come luogo ambivalente, episodio deputato alla simulazione, alla ridefinizione di un linguaggio visivo denso di evaporate sedimentazioni irrisolte. La lucidità e la radicalità della visione sembra trovare alimento all’interno del proprio sviluppo, anticipando ad ogni nuovo sguardo una particolare necessità di ricostruzione e ridefinizione. Disperdendo l’inessenziale l’artista conduce una sorta di polverizzazione diffusa, la ricerca di una diversa identità vissuta come occasione in cui orientare una possibile dimensione priva di misure o costrizioni. La contingenza del veduto diviene l’immanenza della visione. Le note si richiamano per simpatia e dissonanza ricostruendo la trama sottile di un gioco in cui la temporalità musicale trascende nella dinamizzazione ed elaborazione dello spazio.

Le immagini costruite da Maria Cristina Neviani si affermano attraverso molteplici suggestioni in cui legami e antitesi convergono a completare il tempo totale dell’opera: nel quadro tutto è simultaneo, la propria identità appare come un decorso temporale che trattiene il respiro. La sua sintesi consiste allora nel commutare ogni principio formale nella struttura dell’unità determinata dai vari momenti del dipinto. La concezione di una dimensione assoluta ulteriormente sottolineata dall’uso di pigmenti luminescenti che intrappolano la luce e ne rilasciano al buio gli effetti:il quadro vive così di due momenti distinti, a loro volta suddivisi e sbriciolati in istanti successivi infiniti attraverso i quali lo scheletro dell’immagine rivela la propria anima confondendosi con la sostanza della materia. Ogni porzione, ogni aspetto dell’opera diviene la punteggiatura necessaria per riuscire ad intendere l’intera scrittura artistica che, nell’impermanenza dei propri confini, diviene il plurale di sé medesima, in una convergenza e stratificazione formale manifestata come principio identitario. L’opera pare abbandonarsi alla propria situazione, di volta in volta particolare, nell’istante esatto in cui sussiste la condizione perché riesca a superarsi, a ridefinire il proprio apparato percettivo e ad accettare la conformità delle proprie varianti.

All’interno di tale ampliamento del concetto di forma il lavoro di Margherita Calzoni muove dalla volontà di regolare la materia tramite un ordine mosso da un rigore interno. Un’opera che non nasce dalla destrutturalizzazione di un’immagine: l’idea è una necessità sostanziale dell’artista che nasce in quanto pura, visualizzazione di un concetto capace di intrappolare il senso profondo della materia e restituirlo sotto forma di opera d’arte in sé completa e conchiusa. Dettaglio sostanziale diviene il filo, tessitura che imbriglia e tende a modellare o circoscrivere l’esuberanza debordante della materia. Istanza fondamentale si rivela la volontà e capacità di educare la caoticità della sostanza pittorica. L’opera diviene immagine elaborata da una sensibilità regolatrice che accetta il caos solo nell’ipotetica possibilità di razionalizzazione, superando il conflitto tra idea e materia.

L’immagine, nell’opera di Dejavu, supera la dimensione puramente visiva per divenire linguaggio, sistema comunicativo autonomo e concluso, profondamente strutturato al proprio interno. La particolare semplicità e linearità delle forme, la netta precisione del colore, la ricercata reiterazione del simbolo o dell’immagine perdurante non paiono costituirsi come associazioni o rappresentazioni allegoriche, ma sono il risultato di visualizzazioni empiriche tra loro relazionate e qualificate da uno spazio ed un tempo assoluti, in assenza dei quali non si avrebbe nemmeno quella simultaneità sintattica che procede per immagini e di immagini si autoalimenta. Da sottolineare – nella poetica dell’artista – l’importanza del tema del “doppio” o, meglio, del “multiplo”: mantenendo come punti di riferimento pochi, imprescindibili elementi costitutivi (valgano, su tutti, il geco o il pesce scarnificato ) Dejavu costruisce un intero universo all’interno del quale l’icona sia il traslato visivo di più ampie formulazioni di pensiero, immediatamente riconoscibili e “sintetizzate” nel breve istante della visualizzazione formale. L’opera diviene – in tal senso – autentico correlativo oggettivo, stratificazione di differenti ed ulteriori circuiti intellettivi. L’immagine, parlante ed eterodiretta, assume allora l’autenticità sintetica dell’ideogramma ( si pensi al maquillage che come una scriptio continua percorre il corpo dei suoi pesci, ad accorciare le distanze con tanta arte primitiva ed automatica ed avvicinandosi sensibilmente ad una particolare inclinazione dei primi street artists americani ). (Alberto Gross)

Curatrice mostra: Deborah Petroni


Galleria d’Arte Contemporanea Wikiarte

Via San Felice 18 – Bologna

www.wikiarte.com

Durata mostra:

dal 10 maggio al 22 maggio 2014

dal martedì al sabato dalle 11.00 alle 19.00 con orario continuato lunedì e domenica chiuso

Ingresso gratuito