Bellezza; il valore estetico delle cose, cioè la perfezione degli aspetti sensibili che suscitano ammirazione e diletto. La situazione citata è pero una situazione teorica, estrapolata da un qualsiasi dizionario. Nella sua storia invece, l’uomo non è mai stato in grado di definire personalmente il proprio concetto di bellezza. Omar Ronda, invece, è certo di trovarla nella sua musa ispiratrice, Marilyn Monroe, quella che per la prima volta gli è apparsa sullo schermo cinematografico “dolce e desiderabile come una nuvola di zucchero filato”, per poi dare senso a una celebre serie di lavori artistici, dalle opere su tela e le istallazioni fino al romanzo “Vita bruciata. Marilyn Monroe”. L’artista, in effetti, afferma: ”… ho voluto cogliere il lato terreno e multiforme di Marilyn e non solo quello della star di Hollywood conosciuto dal mondo.”
In ogni discussione o lavoro su Marilyn, la parola-chiave sia senza dubbio “bellezza”. La chiave della sua bellezza sta più nella sua ubiquità che nei lineamenti fisiognomici di per sè. La sua immagine , però, appartiene al nostro occidentale patrimonio percettivo al punto tale che, sebbene sia difficile riconoscere a memoria i dettagli delle figure senza vederle, molto probabilmente sapremo riconoscere la figura di Monroe da un dettaglio solo. Questo perché, nonostante la memoria visiva tenda a tralasciare il dettaglio formale, non ne dimentica il valore espressivo. Ed ecco che se si osservano delle raffigurazioni di Monroe, si arriva inconsciamente ad interrogarsi sulle vicende umane della diva e solo dopo sulle geometrie dei suoi tratti somatici. Questo accade nella nostra società, dove il bisogno di identità è talmente disperato, che la via più semplice per trovarla è costruirla a partire da ciò che vi è più diffuso, e cioè l’immagine. I tal modo nell’attuale cultura dell’immagine quest’ultima non è quello che raffigura, ma il raffigurato finisce per immedesimarsi con la propria immagine. Le cose tendono ad esistere in quanto raffigurate. Guardare un’immagine è solamente guardare un’immagine, ma pensare a qualcosa… è pensare alla sua immagine! In tal modo Marilyn, diventata velocemente eterna. Nella condizione attuale le icone contemporanee nascono in pochi giorni. Certamente molti sono destinati a sparire altrettanto velocemente, ma tante restano. Cosi la cultura si frammenta e se negli anni ’60 i miti erano relativamente pochi, oggigiorno sono talmente innumerevoli che è difficile che nasca una nuova Marilyn, c’è troppa concorrenza sul mercato. Marilyn, automaticamente, guadagna sempre più velocemente stabilità, unicità, immortalità. E cosa c’è di meglio, in un mondo in accelerazione, che fermare il tempo? E’ il sogno più grande dell’uomo digitale, il veloce navigatore telematico. E cosa c’è di meglio per fermare il tempo, in una società dell’immagine, che un’immagine?
Davanti alla raffigurazione della diva , così radicata nel nostro sistema estetico, è innanzitutto la nostra cultura a dirci che si tratta di bellezza. Ma la bellezza degna di ammirazione non può avere cent’anni, al giorno d’oggi, perche è l’infinito a contenere il tempo illimitato. Il senso dell’antico è indispensabile. L’estetica attuale è satura per accontentarsi del “bello”. Pertanto solo l’eccezione alla regola della bellezza diventa una bellezza davvero eccezionale. Le opere di Ronda, dunque, non sono la fredda replicazione di un’immagine familiare e pubblica , dal fascino vagamente feticista, rassicurante e prevedibile nella sua banale notorietà, bensì il ricordo dell’anima, la nostalgia per un’interiorità nella quale la diva odierna non sa riconoscersi. L’artista dimostra, tramite gli eterogenei interventi creativi, che l’icona si riconosce sempre come un fatto di natura divina, alla base di quale sta la percezione di un’autentica esperienza spirituale sovra mondana.
Giuseppe Chiari
La musica è il senso, l’inizio e la fine, di ogni atto creativo di Giuseppe Chiari. La musica intesa in tutte le sue sfaccettature e stati e, dunque, dalla sua nascita, la composizione, alla sua trascrizione, lo spartito. Il retaggio wagneriano dell’unità delle arti, dell’utopistico Gesamtkunstwerk, trova chiara espressione nell’operato artistico di Chiari, impegnato a raggiungere in pittura l’immaterialità e la non- referenzialità della musica. Sono sessant’anni oramai che il mondo artistico vive la intermedialità e l’interattività, il sconfinamento e l’interazione linguistica che con Fluxus trovano i propri auctores anche nel campo musicale (pensiamo a John Cage , La Monte Young etc.). La musica visiva è un dato di fatto è nessuno più si pone il problema di che cos’è un colore acustico. Ebbene, Chiari si forma come artista concettuale proprio sulla scia di tale ricerche evidenziando bene le due direzioni principali di esse: da una parte, nell’ambito musicale, l’attenzione su i meccanismi di costruzione ed esecuzione dell’oggetto sonoro a livello notazionale, ovvero, la partitura arriva a caratterizzarsi con la propria componente visiva che porta a un aumento dell’attenzione al valore della realizzazione grafica, dove l’iconicità della scrittura prevale sulla originaria natura di sistema simbolico non-verbale. La grafia musicale standard sulla superficie cartacea rappresenta graficamente il decorso temporale degli automatismi preordinati dell’esecuzione sonora, ma anche una pittografia che acquisisce formalmente un valore estetico. Ed ecco che nascono le forme di pseudo -notazione di fruizione quasi esclusivamente visiva che donano allo “spartito” un’identità autonoma, ulteriore all’eventuale esecuzione o eseguibilità acustica.
Sul fronte delle arti visive l’astrattismo e il concettuale conquistano irreversibilmente l’incorporeità tipica dell’espressione musicale. La pittura cede il posto all’azione e le manifestazioni sintetiche, dal dripping al happening e alla performance, sono accomunate dall’utilizzo di un colore “diffuso”, luminosamente inteso e trattato veramente alla stregua del suono, in una combinazione di elementi visivi e uditivi che costruisce l’iter contemporaneo dell’opera d’arte totale sognata dai Romantici.
Sono questi i presupposti che permettono a Chiari di “trattare” la musica come pittura e viceversa e di trasformare gli oggetti musicali in artefatti e viceversa. Gli strumenti musicali, gli spartiti, i manifesti concertistici sono tali quali ma sono anche quadri. Le melodie sono anche pitture. La decontestualizzazione non è necessaria, il contesto è unico, gli esecutori sono gli stessi, i mezzi altre tanto. L’alterazione è registrata a livello percettivo sia da parte del creatore che da parte dell’osservatore. E non si tratta di un unico, eccezionale punto di vista, bensì di una nuova ottica, comprensione e cognizione del fatto artistico. La selettività dell’occhio e la specificità dell’azione creativa sono superate da un bisogno onnivoro e ogni comprensivo di esperienze estetiche trasversali. Il tutto perche, per perifrasare Wagner, l’arte non è nelle cose, è in noi.
Critica: presentazione e scritti a cura di Denitza Nedkova
Curatore mostra: Deborah Petroni
Galleria Wikiarte
Via San Felice 18 – 40122 Bologna
Durata mostra:
dal 25 gennaio al 09 febbraio 2014
da mercoledì a sabato dalle 11.00 alle 19.00 orario continuato
domenica e martedì dalle 15.00 alle 19.00
e lunedì chiuso.
Ingresso gratuito