La Sicilia, la maggiore di tutte le isole del Mediterraneo, tanto ricca di cultura e folclore, si presenta come luogo eletto di artisti fecondi e importanti.
Il pittore Gino Baglieri nasce a Lentini, in provincia di Siracusa, nel 1946, e, come grandi personalità che lo hanno preceduto, si mantiene fedele alle tradizioni di una terra esigente, sfaccettata e universale, dove si sono radicate nei secoli le fiorenti stagioni di diversissimi popoli dominatori, i cui caratteri culturali si sono amalgamati con quelli autoctoni in modo straordinario e imperituro.
di Gianna Pinotti
Baglieri – che scrive anche poesie ricche di intime tensioni e dichiarazioni d’amore, testi che contribuiscono alla comprensione di importanti scelte da lui compiute in campo visuale – resta senz’altro legato a una tradizione pittorica figurativa di matrice guttusiana che da un lato rivela le pieghe di un universo affettivo individuale, dall’altro si offre come strumento per comunicare pensieri precisi (mi rifuggo col pensiero sulla tela; avvalendomi della mia pittura per far capire), mezzo di denuncia sociale (tutto è possibile, ma non per te, ragazzo del sud; uccidete pure il verde dei prati; la patria muore forse per i tuoi misfatti?), e anche prezioso documento storico, testimonianza culturale e umana (emblematici a questo proposito sono i dipinti dedicati a una Sicilia artigiana: Strizzatore, Vasaio, Falegname, Tipografo, Ricamatrice, Scalpellino, Impagliatore).
Si delineano dunque da subito due imponenti nuclei tematici nella produzione dell’artista, il primo annovera i ritratti di una società contemporanea che cade sotto l’impeto della violenza e della volontà di dominio (Anna Frank, Hiroshima, 11 settembre) e il secondo i ritratti della madre Natura, dominata da Venere, che sa trionfare su tutto, sanando la ferita inferta al mondo dallo stesso uomo che lo abita.
In una lirica l’artista non solo dichiara apertamente la propria appartenenza alla materna isola, ma anche la propria radicata vocazione cultuale: sono stato e sarò, fino alla morte, sempre tuo figlio, (…) Mi ricordo di te, del bel nome che porti, Trinacria,/ quando da bambino mi insegnasti a chiamarti / e a venerarti. (…) materna mia terra.
D’altra parte la Trinacria, nome greco dell’isola, culla di miti legati alle divinità agricole della fecondità e al ciclo delle stagioni, è stata in tutto l’occidente antico il maggiore centro di culto della dea greca Afrodite.
Nelle opere di Baglieri è possibile intravedere la figura della dea calata nella quotidianità con sembianze rasserenanti di madre, puerpera, giovane bagnante. Emblematico il quadro La nascita di Venere, ritratto di una fanciulla innocente che incammina il suo viaggio / nelle sabbie della vita, abitatrice di un mondo acquatico sacro e salvifico. Venere come natura, energia che tutto genera, è in grado di contrastare le turpitudini e l’autodistruzione di una decadente società, dimentica dei cicli biologici e affettivi. Così il dipinto La modella e l’artista nello studio contiene una precisa citazione dal pittore Gustave Courbet, L’origine della vita, divenendo l’esplicito manifesto di una vocazione. Il potere di Venere si rivela anche come energia dell’Arte stessa, contrapposta alle altre forme di potere di cui l’uomo diviene preda; Baglieri scrive: Corri, uomo corri verso il potere! / verdi campi senza frumento, grandi vie senza luce, / frontiere senza uomo. (…) Il potere non risparmia né fiori né spine. (…) ma il potere, uomo, / ti uccide.
Molti sono stati gli artisti che nel corso della storia hanno cercato di dare un volto a Venere, da Botticelli a Canova a Dalì, e in epoca contemporanea la figura prende davvero forme desuete e ancor più evocative. D’altronde, la forza di sopravvivenza del mito si lega al fatto che esso si configura come rappresentazione fantastica della realtà e come simbolo unificatore del gruppo sociale. Il mito di Venere, nel caso di Baglieri, si configura come un mito sociale, a cui gli individui possono attingere con tutta la loro anima alla ricerca della salvazione, dell’intima pace.
Di concerto con quanto detto sulla fede da parte di Baglieri nel potere comunicativo dell’arte, osserviamo come la sua pittura riesca a parlarci, anche attraverso la rappresentazione di un semplice paesaggio, della profonda essenza della mutazione a cui siamo sottoposti in natura. Dal consistente corpus di opere dell’artista emerge la continua ricerca di un realismo ideale, per cui ogni dipinto diviene la raffigurazione di un evento irripetibile dell’essere nel suo eterno cambiamento di stato. Infatti la serrata tensione spaziale di certuni dipinti si allenta in altri, a tal punto che lo sfibrarsi dei corpi per mezzo di tracce filamentose arriva a produrre persino immagini al limite della loro leggibilità formale.
Baglieri si muove così tra liquida inconsistenza e solida costruzione, tra scontessitura e ricomposizione in salde campiture dei corpuscoli e delle tinte, rispondendo esteticamente alle modalità di relazione tra essere umano e natura. L’artista, plasmando la materia pittorica, visualizza le infinite possibilità di coesione delle particelle, sospeso tra il corpo dello natura e la natura del corpo. Egli dipinge il regno di Venere nella sua eterna e ininterrotta dinamica, come immaginifico slegarsi e ricomporsi degli atomi e delle cellule viventi, come indurirsi e sgretolarsi delle materie terrestri, e anche come territorio sacro in cui si specchia l’andirivieni emotivo e spirituale dell’individuo, richiamando alla memoria il pensiero atomistico di Lucrezio (De rerum natura) per il quale niente si muta se non per via di concilio, e quello che accade degli atomi: / quand’essi mutano incontri, ordine, moti, figura, / anche i corpi si devon mutare, poiché niente / di ciò che natura ci mostra visibile / è fatto di un’unica specie di atomi; / ma tutto risulta composto / da un fitto miscuglio di semi diversi; / e quanta più forza un corpo rivela / e potenza, son tanto più varie le specie / e molte e diverse le forme degli atomi; e (…) ci rechiamo / dove il piacere ne porta e per cui similmente / mutiamo anche noi i nostri moti / né in tempo né in luogo prefissi.
Un regno venusiano, quello di Baglieri, dove il verde più di tutti i colori ha il suo dominio, chè l’artista impregna con le sue gamme una spiaggia di sabbia, le carni di corpi disciolti nell’acqua, figure di organismi vegetali lichenificanti. Il verde, d’altra parte, corrisponde alla bellezza, al colore della memoria di quel potente mondo: Mi ricordo della tua bellezza…ho rivisto i tuoi prati verdi. / Mi ricordo ancora dei tuoi bei giardini odorosi, / nei quali i miei fratelli hanno fatto un regno.
Galleria “Arianna Sartori”
Mantova – Via Ippolito Nievo, 10