La Chie Art Gallery è lieta di presentare la mostra Paesaggi Contaminati, una collettiva di Nicola Falco, Mihaela Ghit, Hannah Elisabeth Walstra Hogeboom e Monica Ghit, visitabile dal 29 gennaio al 9 febbraio 2013.
Il lavoro dei quattro artisti si muove entro il campo della contaminazione, trasformando la superficie della tela in un miscuglio di elementi riconoscibili e non, e sfalsando la percezione del soggetto rappresentato su più livelli. Questo diventa ogni volta qualcos’altro: un paesaggio per metà reale per metà astratto, uno scorcio naturale costellato da elementi estranei. Nonostante la tendenza ad allontanarsi dalla realtà, tuttavia, gli artisti la mantengono come punto fermo, approdo primario e definitivo della loro opera. Ecco perché a un primo, superficiale sguardo i lavori si presentano decisamente come paesaggi – nel caso di Nicola Falco, Mihaela Ghit e Hannah Elisabeth Walstra Hogeboom – e come agglomerati tra natura e corpo umano – nel caso di Monica Ghit; seppur mai riducendosi soltanto a questo.
Nicola Falco lavora a un particolare tipo di veduta, le cui fattezze sono spesso celate da una coltre fumosa, uno strato atmosferico che appiattisce le forme ondulate delle colline sullo sfondo e azzera il colore a una tinta più o meno monocroma. La serie dei paesaggi presente in mostra concatena ogni lavoro all’altro tramite una somiglianza costante, come se le tele fossero dei fotogrammi di uno stesso lungometraggio che si susseguono, differenziandosi l’un l’altro solo in minimi dettagli. Uno scenario naturale che assume un preciso aspetto, dettato dall’artista e dall’andamento uniforme dell’opera, inoltre legata al territorio – in questo caso, quello siciliano. La contaminazione, in Falco, è proprio dovuta allo strato denso ma sottile che ricopre ogni paesaggio, schiacciandolo sotto la visione personale dell’artista e distanziandolo, quindi, dalla pura rappresentazione del dato reale.
Le immagini di Mihaela Ghit sono delle cartoline scheggiate di vedute spesso note (riconosciamo le sagome dei palazzi veneziani), ordinate secondo un preciso gioco compositivo. La parte alta della tela è quella più ancorata alla realtà, e ripropone obiettivamente la porzione soprastante della veduta con un attento studio di architetture che si stagliano contro un cielo tumultuoso e indefinito, tipico della pittura dell’artista. La parte bassa della tela, al contrario, comincia a sformarsi in un aperto dialogo con l’astrazione: è graffiata, dipinta con più strati sovrapposti di colore che ne movimentano la superficie. Il paesaggio è nettamente contaminato da un insieme di segni che si strutturano come delle vere e proprie cancellature, nascondendone e a volte addirittura eliminandone un ritaglio attraverso un uso del colore ricercato e una vigorosa pennellata.
Se le vedute di Falco sono alterate da un’atmosfera sottile che le ricopre, i paesaggi di Hannah Elisabeth Walstra Hogeboom lo sono dalla sua stessa pittura. Le pennellate decise e sempre visibili che ricoprono l’intera superficie della tela rendono questi panorami – delle interpretazioni delle coste scozzesi e irlandesi – pressappoco delle combinazioni astratte, in cui la linea d’orizzonte può facilmente diventare un segno grafico o una macchia di colore. La capacità di Hogeboom di equilibrarsi tra il figurativo e l’astratto definisce la caratteristica principale del suo lavoro.
L’ultima artista in mostra, Monica Ghit , è colei che prende le distanze in maniera più eclatante dal concetto di paesaggio tradizionalmente inteso. Le sue opere sono giustapposizioni di elementi naturali – foglie, astri, alberi, sassi – e parti estrapolate dal corpo umano, mediate da una grafica netta e contrastante. Visi sformati da vortici di colore e composizioni floreali, di cui l’artista tende a rilevare e definire gli occhi e la bocca, campeggiano su tele dal sapore onirico. Sono opere dalla non facile definizione, impossibili da catalogare sotto un singolo stile o genere: la contaminazione tocca qui il suo apice, ed è predominante. La Ghit stessa ne parla come di un mondo parallelo alla realtà colmo di simboli e allegorie, alla ricerca di un’interpretazione soggettiva dello spettro sentimentale e umorale dell’uomo.
Chie Art Gallery
Viale Premuda 27, Milano
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