Gio. Nov 21st, 2024

In occasione di ART CITY il Museo Archeologico di Bologna ospita nelle proprie sale una selezione di opere di Marino Marini (1901-1980), uno dei massimi scultori del Ventesimo Secolo. L’irriducibilità delle sue forme agli stilemi delle Avanguardie consente oggi inesauribili riletture di una poetica non catalogabile nella prospettiva storicistica e l’opportunità di osservare le relazioni con fondamentali archetipi dell’arte e della creatività umana. La classicità diviene una sorta di strumento di lavoro e d’indagine, un paradigma per affrontare quella che è la fonte primaria della sua arte: il linguaggio del corpo dell’uomo, il manifestarsi della figura umana come elemento perenne, ossia come forma classica e imperitura nel tempo. La verità della rappresentazione come elemento fondante della scultura di Marino Marini e come tema cardine della grande tradizione della storia dell’arte italiana del Novecento trova importanti radici in una classicità che vede nell’arte egizia e in quella etrusca gli appigli più profondi. Su questo presupposto si danno le ragioni della presenza dell’artista toscano al Museo Archeologico di Bologna. Le opere non alterano la disposizione della collezione permanente, ma in essa trovano il proprio teatro ideale. Nel suo profondo amore per l’arte antica Marino Marini non ha tralasciato gli studi di modelli imperiali romani riuscendo, in un continuo peregrinare dall’antico ai suoi contemporanei, a leggere la grandezza del primo Martini secessionista, le esperienze formali dei francesi Despiau, Bourdelle e Maillol e di tedeschi quali Kolbe e svizzeri come Haller. Di questo tratto è segnato il percorso di Marino Marini, che nel recupero della forma, espressa in un linguaggio artistico oltre il tempo, ha creato una scultura comunque radicata nella quotidianità grazie alla sua costante e attenta analisi del contingente. Rendere immortale il presente è una delle maggiori qualità dell’arte classica e della passione per il senso dell’arcaico, di ciò che è remota origine e, insieme, principio fondatore ineludibile. In questa prospettiva si possono così osservare la Venere del 1942 con i suoi tratti delineati dalla elegante figura che esprime tutta la sua evocazione mitologica nelle morbide fattezze, la Pomona del 1945 con la grazia di un antica divinità che incede nel tempo presente, arrivando poi al Cavaliere del 1949 che ci immette nella fase più matura della serie dei famosi cavalli e cavalieri. Marino Marini non mancava di frequentare gli artisti a lui coevi e in molti casi – com’è successo per Kokoscha, Mies van der Rohe e altri grandi del ‘900 – ne realizzò splendidi ritratti. Tra questi uno dei più importanti e precoci è quello dello scultore Fausto Melotti del 1937, presente in mostra, elegantemente plasmato e dagli evidenti richiami a quell’idea di classicità che affonda nella grande cultura figurativa italiana dal XV secolo, con riferimenti a Francesco Laurana e alla statuaria rinascimentale tanto amata dall’artista toscano. Infine le forme geometriche di Composizione (1956) paiono muovere verso una primitiva astrazione, quasi un geroglifico tridimensionale nell’immaginazione di un cavallo che, nell’arte di Marino Marini, di lì a poco si disgregherà per sempre assumendo la più nota plastica di composizioni di elementi e figure astratte.

www.comune.bologna.it/museoarcheologico

.