Gio. Nov 21st, 2024

Naufragi di Claudio Ballestracci

Claudio Ballestracci è un artista romagnolo, della Romagna che dà sul mare ed è vicina alle Marche, ma la sua testa, il tipo di immaginazione che produce le sue opere, viene da tutt’altri luoghi. Potremmo pensare al nord Europa, alla Germania, o a paesi nebbiosi dell’est, dove il sole si vede pochi giorni all’anno e tutto è permeato di acqua, di pioggia, di impasti terracquei. Potremmo pensare a tradizioni pittoriche assolutamente non mediterranee, qualcosa che si muove verso Grünewald, Altdorfer, Bruegel… Questo perché a differenza dell’arte mediterranea, che guarda sempre all’uomo e lo mette al centro del discorso visivo, Ballestracci sembra interessato a tutto meno che a parlare di individui, di essere umani. Quello che lo attira è il mondo nel suo aspetto vegetale e minerale, dove le tracce dell’umano sembrano riassorbite dagli elementi, soprattutto l’acqua e la terra. Per questo, quando pensa ai libri Ballestracci li concepisce come oggetti che non contengono il distillato di un pensiero astratto, intellettuale, ma li ricrea come lattine di zinco, latte d’olio, scatole di ferro, contenitori cioè dove il pensiero si è ridotto a liquido, siero, olio, nafta. Claudio non concepisce i libri come composizioni di fogli scritti e logicamente ordinati ma come cellulosa che sta tornando alla condizione primitiva … le pagine si incollano tra di loro, la stampa svanisce e sfuma, il cartone delle copertine si ammolla. E allora per lui una libreria è una specie di primitivo soppalco dove i libri si stanno disfacendo perché nessuno li tocca più (da anni, forse da secoli), perdono consistenza e diventano cose inquietanti, ai limiti dell’animalizzazione. Forse sono spariti gli uomini che avrebbero dovuto leggerli, forse l’umanità si è estinta. Qualcuno potrebbe insinuare allora che Ballestracci conduca una specie di polemica personale contro la cultura, e che per lui la fisicità del libro abbia un valore aggiunto rispetto ai cosiddetti contenuti. Invece penso che sia proprio il contrario. La libreria di Claudio è una libreria che sembra essersi salvata da un’apocalisse, da un disastro cosmico, e i suoi libri contengono le ultime parole a cui gli uomini di un’epoca futura potranno aggrapparsi. Esattamente come le sue lastre di zinco sorreggono la grafia di un poeta romagnolo, Pascoli, nel momento in cui questa grafia sta scivolando verso l’oblio di uno scarico di lavandino. Poesia che ritorna a essere acqua, parole che scompaiono nel buco nero di uno scarico, pensiero che sgorga via, libri che infradiciano: per Claudio questo è il messaggio di allerta con cui dobbiamo fare i conti. Di fronte a una cultura che si è fatta sempre più astratta, priva di appigli col mondo, Ballestracci propone un ritorno agli elementi, all’elementarità dell’esistere. Per questo sceglie gli oggetti più intellettuali per eccellenza (i libri, le poesie) e li riconduce alla condizione primitiva in cui il pensiero torna al confine con la materialità dell’esistere. Dove nasce il pensiero? E quanta parte del mondo resta fuori dal linguaggio, soprattutto quando il linguaggio diventa scrittura? I libri gonfi di umidità e afflosciati della libreria “n-ever green” sembrano prospettare una forma di pensiero in cui materialità e astrazione non sono più poli opposti (i due poli che stanno alla base del pensiero occidentale). Per questo Claudio fa occhieggiare gli autori dai palchetti della sua libreria sfasciata e sfascicolata: cosa stanno guardando questi fantasmi tornati curiosi delle cose che ci ri-guardano? È su un panorama ormai desolato che si rivolge il loro occhio stupito? O ci vogliono attrarre verso un’altra dimensione dell’esistere? Cos’è dopotutto un libro se non il corpo di colui che lo ha scritto? Una volta che il corpo reale si è disfatto, resta il corpo cartaceo a occupare uno spazio nel mondo. Allora possiamo ipotizzare che gli autori stiano assistendo stupiti a cosa avviene del loro corpo residuale, quel corpo che sembrava poter garantire l’eternità e che invece ora sta perdendo consistenza. A questo punto possiamo leggere “n-ever green” come una grande allegoria del vivere. Il vivere ha perso la presunzione del pensiero intellettuale, del pensiero che pensa di innalzarsi sulla materialità del mondo per dominarlo e azzerarlo. Gli occhi che illuminano fosforicamente la libreria hanno uno sguardo ironico e divertito che prende in giro le presunzioni del mondo cosiddetto intellettuale. Tutto torna alla materia, anzi tutto deve tornare alla materia. Se le parole di Pascoli scivolano nello scarico per ricongiungersi a quel grande bacino di acque vitali da cui sono sgorgate, distillandosi, raffinandosi, diventando sillabe e suoni, versi, ritmi, anche i libri perdono la loro forma perfetta e definita, la carta ammuffisce, l’inchiostro stinge, la muffa aggredisce le rilegature. Così l’artista ci dimostra che il pensiero è impregnato di scarti materiali, che basta poco (cent’anni? un millennio?) per portare al disfacimento anche i prodotti più perfetti della presunta cultura. Il pensiero non è astrattezza, non è distacco algido dalle cose materiali. Se un libro nasce dal corpo, e se il corpo è materia, anche un libro è materia e dalla materia proviene. Questo è l’ultimo avvertimento che la libreria apocalittica ci manda. La letteratura e i libri devono tornare alla terra, esattamente come i corpi. Ceneri alle ceneri, parole alle acque. Claudio Ballestracci officia un rito antichissimo, tipico di culture popolari e primitive: tornando nel corpo della terra si favorisce la fertilità della terra stessa. Nuovi libri potranno nascere dal nutrimento dei vecchi libri. L’apocalissi dei libri è la premessa di un riaprirsi di un nuovo, allegro, fecondo ciclo culturale. La libreria in disfacimento è la culla della libreria che verrà. (Testo critico di Marco Antonio Bazzocchi)

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