Sab. Nov 23rd, 2024

Tutto è in funzione del movimento, di una dinamica concezione dell’immagine che sia salto, vertigine e rivoluzione. La particolare tecnica utilizzata da Filippo Guicciardi è il frutto di successive e progressive fasi di montaggio, un’azione compositiva proattiva che si produce nel tempo e nello spazio dell’opera.

L’immagine viene lasciata libera di muoversi assieme alla visionarietà fantasiosa e creativa dell’osservatore, il quale assume un ruolo non subalterno, ma parallelo e paritario a quello dell’artista nella concezione estetica così come nel completamento formale dell’opera d’arte.

Non c’è un tempo cronologico, misurabile, ogni punto di riferimento annega e si smarrisce nel flusso di un dinamismo continuativo che racconta i gesti di un passaggio senza principio e senza fine.

L’immagine è poesia scritta, è cupa, oppure deviata, oppure stregata, oppure le tre cose assieme. C’è una reinvenzione di genere in cui convivono e si sovrappongono gotico e fiabesco, humour nero e disincantata e profonda melancolia abissale.

L’intera opera di Glenda Tinti racconta il tormento di una forza emotiva, un mondo fantastico che oltrepassa il reale per aggrapparsi agli estremi di una favola dal linguaggio difficile, spigoloso, una macchina che produce forme buffe , impacciate e crudeli.

Il primo piano, il fermo immagine che ci si presenta non ha nulla di sincronico, di momentaneo: al contrario è il risultato di un perdurante di cui non conosciamo né il prima né il dopo, ma ne scopriamo il segreto senza tradirne la sorpresa.

Come positivo del negativo, la fotografia custodisce il ricordo di un’immagine verbale: ogni figura che non illustri tutti gli oggetti compie una rivoluzione all’interno dell’unità del proprio linguaggio.

Con le sue visioni porzionate, segmentate, frammentate, Martina Buzio ci offre la possibilità di documentare in modo nuovo la percezione fenomenica della realtà, di aumentarne la conoscenza correggendone gli errori.

L’immagine impressa all’interno dello spazio retinico si converte in sequenza, riproduce l’immateriale/invisibile restituendone l’idea.

La forma è un’emersione dal vuoto, una materia che diviene energia estroflessa, forza centrifuga che esplode dall’interno del magma universale.

La manifestazione dell’immagine procede parallelamente ad una vivida epifania creativa: l’intera opera di Maurizio Virgili si pone come nascita, muove verso il riscatto di una creazione che auspica un inizio e indizio di superamento dell’attualità intesa e praticata quale idea postuma, appesantita dal fardello della tragedia.

Ed è proprio sotto la maschera del tragico che l’artista – di volta in volta – muta e inverte le prospettive, lascia scorrere il dramma nella ciclica circolarità del ritorno… 

FONTE: WIKIARTE con testo critico e presentazione a cura di Alberto Gross.


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