Il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano, dal 6 luglio al 16 settembre 2012, presenta la prima mostra monografica che un’istituzione museale italiana dedica al lavoro di Elad Lassry (1977, Tel Aviv; vive e lavora a Los Angeles) a cura di Alessandro Rabottini.
La mostra, promossa e prodotta dal Comune di Milano – Cultura, Moda, Design e dal PAC, ad oggi rappresenta la più ampia panoramica mai realizzata sul lavoro dell’artista israeliano, che il pubblico italiano ha già avuto modo di apprezzare nell’ultima edizione della Biennale di Venezia.
Il lavoro di Lassry è caratterizzato da una riflessione sull’ubiquità dell’immagine nella società contemporanea e sulla possibilità di ridefinire codici visivi conosciuti e abitudini interpretative. In questa mostra verranno presentate un’ampia selezione di opere a parete, quattro film, nuove opere di scultura e un’installazione che fonde fotografia, scultura e architettura realizzata appositamente per il PAC.
A partire dalla sua recente comparsa sulla scena internazionale, il lavoro di Elad Lassry ha subito attratto l’attenzione di pubblico e critica tanto per la forza visiva quanto per il rigore concettuale che lo contraddistinguono. Se all’inizio della sua carriera i principali mezzi espressivi utilizzati da Lassry erano la fotografia e il film in 16 mm., la sua più recente produzione include anche la scultura, l’intervento architettonico, il disegno e la performance. La maggior parte di questi media saranno presentati al PAC in un percorso allestitivo che li pone in dialogo reciproco.
Le fotografie di Elad Lassry presentano soggetti all’apparenza familiari – persone, animali, luoghi e oggetti più o meno banali – ma è il modo in cui l’artista li ritrae a produrre un effetto ambiguo e straniante. Le pose delle persone sono artefatte, gli animali e, più in generale, la natura appaiono del tutto artificiali mentre gli oggetti – molti dei quali sono arrangiati in composizioni che ricordano la fotografia pubblicitaria – sembrano non appartenere al dominio della funzionalità, nonostante non sia chiaro se abbiano un significato simbolico.
L’universo visivo di Elad Lassry è privo di parole: non soltanto i suoi film sono muti ma, più in generale, la perfezione formale delle sue immagini e la loro elaborata costruzione fanno sì che la possibilità che un’immagine significhi o racconti qualcosa venga per un attimo sospesa. Più che lo spazio di una narrazione, le immagini di Lassry sono una superficie sulla quale si riflettono seduzione e repulsione, ambiguità e straniamento.
Una serie di stratagemmi formali messi in atto creano ulteriori forme di ambiguità a livello percettivo: tra l’immagine e la sua cornice, infatti, Lassry stabilisce corrispondenze cromatiche che rafforzano l’oscillazione tra bidimensionalità e tridimensionalità, trasformando l’immagine stessa in un oggetto che sembra prossimo alla scultura, mentre l’assenza di luce naturale produce un’intensità cromatica che acuisce la tattilità delle immagini.
Nel lavoro di Lassry tutto esiste all’interno di un regime di orizzontalità, all’interno del quale ogni gerarchia tra figura, oggetto e ambiente è eliminata: persone, cose, animali e luoghi sembrano provenire da un universo dove la spontaneità è bandita e dove la memoria si confronta con un senso di fine imminente.
Altrettanto può dirsi dei film in 16 mm, di cui la mostra milanese presenterà una selezione di quattro opere prodotte tra il 2007 e il 2010: qui il movimento esiste soltanto come attenta coreografia, mentre tra figura e ambiente si stabilisce, ancora una volta, un’osmosi visiva che riporta tutto sul piano di un’esistenza ottica e percettiva.
Gran parte del lavoro di Elad Lassry consiste in una riflessione sull’atto stesso del vedere, sulla costruzione della rappresentazione e su come noi stessi guardiamo le immagini, proiettando su di esse significati che sono loro estranei e che provengono dalla nostra stessa esperienza autobiografica e culturale. Per Lassry, infatti, l’atto dell’inquadratura non è soltanto un dispositivo formale nelle mani dell’artista ma è anche, e soprattutto, un dispositivo interpretativo che fa appello alla posizione dello spettatore: è per questo motivo che le sue immagini non sono accompagnate da una precisa spiegazione né la loro origine è in alcun modo chiarita.
In mostra saranno inoltre presenti interventi spaziali che rafforzano il discorso sulla visione come forma di costruzione, tanto nella produzione delle immagini quanto nella loro lettura.
Nella sua pratica artistica Lassry conduce a una nuova sintesi le premesse contenute in una serie di esperienze ormai storicizzate: dalla fusione tra otticità e tattilità presente nelle fotografie di László Moholy-Nagy, fino alla natura concettuale dell’immagine che attraversa il lavoro di artisti come Richard Prince, Louise Lawler e Sharon Lockhart, passando per la frizione tra iper-realismo e finzione che caratterizza certe forme di Robert Gober e Richard Artschwager.
FONTE: Studio Pesci, Bologna
PAC Padiglione d’Arte Contemporanea
Via Palestro 14 , Milano
.