Patricia Urquiola, Carlo Colombo, Konstantin Grcic, Von Robinson, Aziz Sariyer, Ron Arad, Jacob Wagner, Javier Mariscal. Questi sono i designer che si trovano aprendo un catalogo qualsiasi di un produttore italiano di arredamento di alta gamma. Praticamente tutte le aziende italiane snocciolano una serie simile di nomi internazionali di bravissimi professionisti. Questo per dire che gli italiani sono praticamente assenti.
Di Stefano Boninsegna, giornalista e direttore
Non se ne vuole certo fare una questione di autarchia in piena globalizzazione, perchè giustamente le aziende mettono in produzione i progetti che ritengono più opportuni per il proprio business, senza guardare alla loro provenienza, ma solo al loro valore. Ottima cosa.
Però in Italia le scuole di design, con lo IED in prima fila, non mancano, le Facoltà di Architettura con i loro corsi di laurea in design neppure mancano, ci sono centinaia di corsi professionalizzanti incentrati sul design. Milano è la capitale del settore, la gran parte delle aziende internazionali dell’arredo sono italiane ed esportano in tutto il mondo con ottimi risultati, i giornali e le riviste sono pieni di articoli, supplementi, numeri speciali dedicati al design, l’Italia sembra essere la patria del design… Ma allora i designer italiani dove sono? Cosa gli manca per farsi conoscere, per lavorare?
Nel Tempo del Design imperante, paradossalmente in Italia manca la giusta tempistica. I professionisti italiani non ci sono perchè sono totalmente avulsi dai ritmi della produzione. In Italia ci sono percorsi formativi troppo lunghi e spesso slegati, per cause ideologiche, dal mondo imprenditoriale, gli studenti si isolano per troppi anni in un mondo irreale fatto di regole e teoria, e arrivati avanti con l’età al termine degli studi, le aziende hanno già trovato chi a 23 anni era già lanciato nel mondo del lavoro e quindi può presentarsi a 30, 35 anni con una grande esperienza.
La dispersione di creatività generata da questa situazione è sicuramente responsabile di buona parte della stagnazione in cui viviamo da almeno vent’anni. Così non si va da nessuna parte. Anche l’idea di lavorare all’estero resta spesso un sogno perchè si rivela un’impresa abbastanza complicata, specialmente per chi ha pochi mezzi economici a disposizione.
Per ricominciare a lavorare è necessario ri-sincronizzarsi sui tempi della produzione globalizzata: lo studio deve essere produttivo, veloce, dopo il quale sarà il giovane designer a dovere fare la storia su cui studieranno i suoi nipoti.
Il Tempo del Design deve tornare ad essere il tempo velocissimo della creatività e della voglia di rischiare, di pensare quello che non c’è, il tempo di avere voglia di provare a presentare alle aziende, senza paura, le proprie idee, i propri disegni, il tempo di mettere in piedi una piccola attività, spendendo il minimo, ma con la certezza che si sta realizzando qualcosa di mai tentato prima e se andrà bene aiuterà non solo se stessi ma anche tutte le persone che potranno partecipare a questa avventura.
Se tu, giovane designer italiano, stai ad aspettare che qualche gerontocrate ti dia spazio, magari illudendoti che avrai il posto fisso per legge, allora non farai mai niente e se avrai una buona idea sarai fuori tempo massimo. Un imprenditore ad un recente convegno ha giustamente detto di non avere paura dei dinosauri, di quelli che dicono che non si può fare, perchè tutto si può fare!
Il sistema non cambia da solo, dal suo interno, va cambiato facendo finta che non esista, studiando velocemente, a volte perchè no anche un po’ meno, e facendosi venire delle idee, inviandole subito alle aziende, venendo a contatto col mondo dell’impresa già durante gli studi, senza rinchiudersi in un limbo tanto piacevole quanto mortale per il proprio futuro.
Torniamo a fare il design italiano in garage, in strada, con uno schizzo sul metrò, sviluppiamo velocemente il concept e mettiamolo sul mercato. Il Tempo del Design è il sogno di una vita migliore, non può rimanere rinchiuso nei libri e nelle riviste.
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