Le opere, gli oggetti, che qui si presentano sono per cosí dire poesie, poesie fisiche e concrete, poesie in forma di oggetti, che si avvalgono infatti della scrittura anche se non l’assumono a loro campo significante primario. La metafora che ne sorregge il potere evocativo, il loro fascino potente e immediato, è quella del textum, inteso sia come tessuto (poiché implicano un lavoro di quasi-tessitura) sia come testo letterario e dunque letterale. In tali oggetti il libro eponimo (qui Cent’anni di solitudine, di Garcia Marquez, altrove lo Spoon River, di Edgar Master, o altri libri ancora) viene interpretato ben oltre il limite consentito alla “corretta” interpretazione, e – di volta in volta con differente tecnica, che coinvolge poi una differente modalità di rapporto sentimentale – viene decostruito, fatto proprio, vale a dire completamente penetrato, e persino distrutto; per essere infine ricostruito in un oggetto nuovo, in un patchwork “tessitorio”, tridimensionale, visivo, plastico: dove la trama torna ad essere la trama e il suo filo, i suoi fili, vanno a riannodare l’intreccio della narrazione, di una nuova narrazione, giacché nata proprio dal rapporto tra il testo originale e il desiderio di amarlo fino a sconvolgerlo…
Sono oggetti che pertanto incorporano, memorizzandole, azioni e adesioni attuate con amore: nella pazienza infinita e nell’infinita dedizione di un impegno che già in sé, nella dimensione intima dell’artista con se stessa e con il proprio lavoro, acquista e sprigiona valore, dato che trasforma la “lettura” in un’esperienza di vita pratica, prima di tutto, la quale tuttavia si dà altresí come creazione. Come se il testo in tal maniera decostruito fosse – giacché lo diventa! – luogo biografico di una narrazione che coinvolge a tutti i livelli (e in tutti i sensi) l’esistenza stessa dell’artista e il rapporto con gli oggetti che la circondano, con gli esseri viventi, fiori, piante, con i materiali, legno, carta, colle, fili, spaghi, via via incontrati, scelti e subito allestiti in figure formali, quasi in galateo, e come per una superiore regola cerimoniale, da cui riusciranno esiti visivi soprendenti, per non dire commoventi.
Nomi, personaggi, fabule, memorie altrui fatte proprie, fantasticherie rese reali, credute vere per una sana volontà di essere dovunque l’immaginazione consenta di essere… e non per sfuggire al quotidiano, ai disastri dell’esistenza, ma piuttosto per sublimarli in un’esperienza interiore, privata, e per questo piú “veritiera”, appunto; e per fare partecipi, con l’opera, gli altri (tutti coloro che vorranno o potranno esserlo) dei fatidici cent’anni della propria (fatidica) solitudine. (Testo di Sandro Sproccati)
FONTE: Blu Gallery
Blu Gallery
Via Don Minzoni, 9 – Bologna
.