Sembra che a volte i sassi nascondono delle frasi che non riescono ad uscire. Queste realizzazioni coniugano poesia e disegni molto semplici. Malgrado nelle opere di Bettini sia riconoscibile una certa unità linguistica, tuttavia il suo lavoro si fraziona in capitoli che corrispondono ad altrettante fasi di presa di coscienza del lavoro d’artista, come percorso di ricerca ideale anche attraverso la sperimentazione tecnica. Per l’artista gli strumenti, gli oggetti e le tecniche sono contemporaneamente oggetto e soggetto di ricerca, prolungando e rendendo via via più chiaro il gesto della mano che li manovra. L’azione è istintiva ma non casuale, segue esigenze e impulsi profondi. E’ una prima formulazione spaziale primordiale, la traduzione di sensazioni tattili in immagini visibili. Con queste originali opere, Bettini crea un’interessante operazione estetica; vuole minare le certezze che ognuno di noi ha accumulato nel corso del tempo e sulla condizione dell’artista e sullo scopo dell’arte. Privilegiare un significato come attributo necessario sotteso ad ogni operazione artistica, considerare l’artista come un guru o comunque un intellettuale che possiede il “segreto”, l’alchimia, è convenzione comune. Qui al contrario sembra che tutto venga messo in discussione : i temi, le tecniche e i materiali, perfino l’esito finale, fino alla fine il risultato è incerto… (Testo di Mario Bortoli)
L’occhio è attratto dal contrasto del colore fumettistico e dalla maestria grafica. L’occhio della mente si confronta con rimandi simbolici di figure proprie dell’imagerie dell’artista. Sono il pesce, il sole, la faccia, il fiore, il cuore, la parola scritta e altri fonemi ancora che compongono l’alfabeto di Dejavu. Questo è il punto di forza della mano che ci ricorda l’arte ribelle del graffitismo di un Keith Haring o il disegno infantile di un Michel Basquiat. Guardando sempre alla cultura pop della strada, pensiamo anche alla sintesi dei tatuaggi incisi sulla pelle con il contorno ben definito. Appartengono ad una storia composta da tanti racconti corrispondenti alle diverse opere. La persistenza dei soggetti declinati in diversi modi ci regala le varianti dove tutto è riconoscibile ma diventa sempre inedito nella raffigurazione e negli accostamenti. La serie dei pesci piranha scarnificati ad esempio non finisce di stupirci e attrarci come la figura stilistica dell’ossimoro, l’allegra perfidia, la vita morta o la triste risata. Allora a questo punto ci avviciniamo alle opere come uno zoom fotografico per scoprire il puzzle di figure. Ci accorgiamo che c’è qualcos’altro oltre al mero gioco grafico, c’è un viaggio forse un incubo che diventa sogno, una sofferenza che attua una catarsi. Il racconto appunto ci conduce a non finire mai di guardare e riguardare questi piccoli tesori tali delle tavole primitive moderne. La magia di queste opere sta proprio nel riconoscimento che noi stessi troviamo nel racconto atavico dell’artista. Tocca l’inconscio collettivo, provoca emozioni e pensieri, tratta i sentimenti e i simboli della storia umana. Inutile indagare sul percorso intimo dell’artista per rafforzare la sua poetica, traspare una forte emotività e una sincerità della realizzazione. Una mano sapiente che ci dona un’arte apparentemente ludica. Una risata di bimbo come un monito che ci tocca nel profondo consapevolmente. (Testo di Verena Faverzani)
Su Davide Foschi, lasciamo allo spettatore la curiosità dell’opera che sempre più sta suscitando il clamore di pubblico e critica, nata da uno stato particolare di coscienza dell’autore, provoca effetti non prevedibili sugli spettatori Un’opera alchemica che trasforma l’anima di chi la osserva, per sempre.“ La Pietà ” non è fotografabile e l’autore non risponde degli effetti provocati dalla sua visione.
FONTE: Galleria Wikiarte
Critica: Alberto Gross
Musiche di: Davide Nunziante
Patrocinio: Regione Emilia Romagna
Orari:
dal mercoledì al sabato dalle 10.30 alle 19.00 orario continuato
martedì e domenica dalle 15.00 alle 19.00
lunedì chiuso.
Galleria Wikiarte
Via San Felice 18 – 40122 Bologna
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