Ven. Nov 22nd, 2024

In un’epoca di ridefinizione dei generi la pittura mantiene la sua centralità riuscendo, nei casi migliori, a rinnovarsi da un punto di vista iconografico, quindi conservando quella caratteristica che le è propria, implicita al concetto di “technè”, di tirocinio artigianale visto in una dimensione di sublimazione dell’agire artistico, con modalità attente e riflessive, abbinando a questa antica vocazione la capacità di osservare con occhio partecipe e disincantato al tempo stesso l’esistente, decontestualizzandolo dalla sua effimera contingenza materiale per dargli forma nella dimensione del simbolo.

Da quando l’arte si è calata in una nuova realtà sociale, che le ha mutato diversi connotati ponendola all’interno di un diverso e più complesso sistema relazionale, cioè dall’inizio dell’ 800, la pittura si è posta in due occasioni, ovviamente tra loro diverse, a salvaguardia dei suoi valori fondativi : all’esordio della rivoluzione industriale, con le correnti del Romanticismo che ne difendevano il livello auratico, e dopo il 1975, a seguito dell’ingresso nella società postindustriale e della crisi del Concettuale. Seguo con partecipazione le vicende della pittura sin dagli esordi della mio mestiere di critico ed organizzatore culturale, quindi dal 1984. In sintonia con un’attività che è nata come vocazione, a contatto con i giovani autori di quegli anni, ho registrato le mutazioni della pittura dopo l’ondata della Transavanguardia, in un clima di contaminazione multidisciplinare e di enfasi espressiva, fortemente venata da suggestioni provenienti dall’estetica metropolitana, dalla moda, dalla musica e, soprattutto, dal fumetto. Invitai artisti come Pierluigi Pusole e Bruno Zanichelli, tra gli altri, ad esporre nelle mie prime rassegne, tra cui cito “Nuove tendenze in Italia” e “Ge Mi To : l’ultima generazione artistica del triangolo industriale”.

Negli anni successivi ho seguito con la massima attenzione possibile l’evoluzione dell’eclettico scenario della post modernità, soprattutto italiana, dedicando due mostre in specifico alla condizione della pittura. La prima, svoltasi in due edizioni tra la fine del 1989 e l’inizio del 1990 in Umbria, a Gubbio ed a Trevi, si intitolava “L’immagine e il concetto : la neofigurazione italiana”. In quella collettiva, dove tra gli altri esponevano Guglielmo Aschieri, Aldo Damioli e Thorsten Kirchoff, denunciavo come, a mio parere, dopo l’ubriacatura generazionale del post ’77 e l’intenso rapporto di confronto e scontro con il nuovo vissuto tecnologico e mediale, lo stile stesse virando verso un ambito di concettualità espressa col tramite di immagini talvolta enigmatiche ed allusive, in altri casi venate da una forte dose di corroborante ironia, in sintonia con uno dei capisaldi del linguaggio italiano. I successivi anni ’90 segnano quella che, secondo me, è stata la stagione più caotica e superficiale del sistema artistico del nostro paese, incapace, per una complessa e del tutto eteronoma somma di motivi, di compiere coraggiose scelte di campo e, soprattutto, di porre in atto un’obiettiva lettura dell’esistente, ed anche la pittura ebbe notevolmente a soffrire di quella situazione. Nel 1998, quando lo scenario mi pareva idoneo ad una prima rilettura critica degli eventi, che avevo anticipato l’anno prima con l’ampia rassegna e relativo volume “ Va’ pensiero. Arte italiana 1984/1996” alla Promotrice di Belle Arti, sempre a Torino, in un loft dei Docks Dora ordinai la collettiva “Simbolica : nel futuro della pittura”. Autori come, tra gli altri, Karin Andersen, Andrea Renzini, Gabriele Lamberti, Fathi Hassan, Luigi Mastrangelo, Antonella Mazzoni, furono utili e validi esempi per confermare quanto avevo intuito con l’”Immagine e il concetto”, cioè che la pittura in Italia, nel corso degli anni ’90 non aveva ripercorso, come sostenuto da molti, il sentiero tracciato nel decennio precedente, ma aveva semmai accentuato delle caratteristiche concettuali, con uno stile fortemente simbolico e attento ai valori della forma, aperto in taluni casi a contaminazioni con l’immagine digitale e l’oggetto. Esemplare, da questo punto di vista, il lavoro di uno degli artisti presenti in “Simbolica”, Mercurio, precocemente scomparso nel 2002. Negli anni Zero la mia ricerca è proseguita culminando, nel 2005, con la curatela, presso la Fusion Art Gallery di Torino de “La contemporaneità evocata”, rassegna nella quale ho colto alcuni spunti di parziale mutazione stilistica che mi paiono in buona parte ancora validi a tutt’oggi. Essendo, sin dall’antichità remota, lo strumento mimetico per eccellenza, la pittura riesce a metabolizzare, con procedimento metamorfico, tutto quanto proviene dall’esterno, e sta riuscendo nell’impresa anche relativamente a strumenti come la fotografia, l’immagine digitale e, più in generale, tutto l’inesauribile armamentario di simulacri della contemporaneità. Quindi il termine “evocazione” in questo caso è interpretabile in una duplice accezione. Da un lato il ritorno di un’attenzione curiosa e partecipe nei confronti degli stereotipi mediali, come avvenne negli anni’80, ma mantenendo molte caratteristiche di quell’atteggiamento di freddo ed algido distacco mentale tipico, almeno secondo la mia lettura, degli anni ’90. La contemporaneità appare nuovamente come narrazione iconografica prevalente, ma sfumata in un atteggiamento evocativo di suggestioni che furono un tempo intense e nel “qui ed ora” si ripropongono come sfocate dalla consapevolezza e dal disincanto. Gli ultimi anni hanno testimoniato la volontà della più giovane generazione di cimentarsi con la pittura, divenuta fondamentale viatico per nuove narrazioni. Scrivevo nella presentazione alla rassegna “Neopopulart” allestita nel febbraio 2011 presso Spazio Sansovino Arte Contemporanea : “Quanto oggi appare parzialmente inedito e stimolante è l’attitudine a mescolare con disinvoltura tracce e visioni appartenenti di pari alla cultura “alta” ed a quella “bassa”. Brani di storia si mescolano a visioni psichedeliche e metropolitane, insieme a simboli appartenenti al repertorio tradizionale della pop art, così come al fashion, all’illustrazione, al fumetto …… Dopo vari segnali positivi intuibili lungo il corso degli anni Zero, pare che questa vocazione ad un’”arte totale”, rinvenibile anche in forme di grafica che tendono alla creazione di un linguaggio proprio, lontano dalle mode, con una grammatica ed un vocabolario originali, per riuscire a comunicare in un mondo già saturo di segni, in un design ecosostenibile, nella Street Art ed in particolari forme di artigianato artistico metropolitano, costituisca la novità più rilevante di questo nuovo decennio”.

I “22 Pittori Italiani” presenti in questa mostra presso la Pow Gallery, cioè Marco Ara, Guglielmo Aschieri, Angelo Barile, Alessandro Caligaris, Daniele Contavalli, Francesco Correggia, Aldo Damioli, Dany Duo, Domenico David, Gianni Gianasso, Paolo Maggi, Giordano Montorsi, Sandra Moss, Gianluca Nibbi, Francesco Nox, Dana Danica Ondrejovic, Orma, Andrea Petrone, Gianfranco Sergio, Vania Elettra Tam, Fabrizio Visone, Xel, rappresentano, a mio avviso, un esemplare spaccato del percorso della pittura italiana dalla seconda metà degli anni Ottanta ai giorni nostri.

FONTE: Ufficio Stampa, Edoardo Di Mauro, aprile 2012


Pow Gallery

Piazza Castello, 51-10123 Torino

Orari: dal martedì al sabato orario pomeridiano 15.30-19.00

Ingresso: gratuito

www.b52c.com

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