Mar. Dic 3rd, 2024

Regole, regole, regole. Rimanendo nell’ambito del design, in questi ultimi anni in Italia, tra le tante regole ferree che dovremmo rispettare, si sente spesso parlare di tutela del diritto d’autore per proteggere dalla copia gli oggetti di design sul mercato. La tutela del diritto d’autore è finalizzata prima di tutto alla protezione delle aziende produttrici degli oggetti, per non esporle alla concorrenza di chi vende copiando senza avere avuto gli oneri della creazione dell’oggetto e dell’ingegnerizzazione della produzione. In secondo luogo si proteggono i creatori degli oggetti, i pochi che godono di royalties.

Di Stefano Boninsegna, giornalista e direttore

 

Le “fabbriche dei sogni”, che hanno creato il design italiano dopo la Seconda Guerra Mondiale, scommettevano sulla buona riuscita di un prodotto, senza il chiodo fisso del diritto d’autore e senza costosi studi di marketing alle spalle. Gli industriali erano giovani e veloci quanto i disegnatori. Ora invece i disegnatori in generale sono ancora abbastanza giovani, mentre gli industriali no, sono invecchiati assieme alla classe politica italiana andando ad ingrossare le fila della nostra gerontocrazia. Lo stesso design italiano ha lasciato il posto a tante firme in giro per il mondo, mentre noi abbiamo iniziato a muoverci molto lentamente, con la paura di chi ci circonda… e allora ecco la ricerca della protezione totale.

Cosa è successo? Probabilmente la situazione italiana attuale è il risultato da una parte della rigida tutela del lavoro che ha ingessato le aziende e per certi versi ha tolto loro l’anima stessa dell’impresa che ha voglia di libertà, di idee nuove, di persone per scommesse vincenti; dall’altra è il risultato della generalizzata poca attitudine al rischio, di studi eccessivamente protratti nel tempo, di una situazione economica precaria sotto il profilo dell’indipendenza dei giovani che non hanno abbastanza soldi per sostenersi da soli e quindi per potere pensare di investire capitale in altro da sé, come un’impresa appunto.

L’attuale situazione italiana, che si cerca di incardinare ulteriormente con il disegno di legge sul mercato del lavoro dell’attuale governo, comprime la libera iniziativa e nello stesso tempo garantisce un forte controllo sociale attraverso i mille adempimenti burocratici e fiscali che ci vengono richiesti.

Anche il diritto d’autore, così come viene concepito in questi ultimi anni, piuttosto che una vera e propria tutela del più debole, sembra l’ennesima riproposizione di pratiche protezionistiche che possono essere utili da una posizione di forza, ma possono altresì risultare dannose da una posizione di debolezza. La multinazionale, che impone a tutti i costi la protezione eccessivamente ampia di un prodotto in ambito globale, fa giustamente il suo interesse e lo ammanta di buoni propositi, ma contemporaneamente uccide migliaia di piccole aziende, impedendo alle giovani generazioni di crescere, così come avveniva nel dopoguerra quando era più importante la voglia di fare, della forma dei regolamenti. Quindi, va bene il diritto d’autore, ma senza diventarne schiavi al punto da non avere il coraggio di fare più nulla e avendo ben chiaro cosa, ma soprattutto chi, si va a tutelare con questi regolamenti.

Se il design italiano riuscisse nuovamente ad avere come sua stella polare la libera iniziativa, piuttosto che la fissazione fanatica per il diritto d’autore, se ne gioverebbe senz’altro, godendo di quella propulsione creatrice e produttiva che alberga solo nelle società liberali. Anche l’autoproduzione potrebbe essere il germe di una nuova industria, se solo si liberasse di ideologie e regolamenti troppe volte letti e ripetuti a memoria.

Il design, come l’impresa, ha bisogno di follia. Va bene tutto, l’importante è che poi funzioni!

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