Mar. Dic 3rd, 2024

Parigi 2010, copyright Il Pensiero Artistico

Di fronte alle ripetute critiche sulla qualità della vita nelle città italiane ed in particolare proprio sui luoghi di recente progettazione o restauro, è d’obbligo che i professionisti dell’architettura e del design si chiedano in cosa stanno sbagliando.

Abbandoniamo immediatamente le argomentazioni autoreferenziali secondo cui chi sbaglia è il cittadino che non capisce la novità perchè rimane legato al passato, o peggio va educato: quando migliaia di persone si lamentano è probabile che abbiano una buona parte di ragione o, come minimo, non si è risposto ai loro bisogni. Che fare?

Di Stefano Boninsegna


Gli uffici tecnici dei comuni, delle provincie, delle regioni italiane traboccano di professionisti interni ed esterni che sfornano ad ogni mandato amministrativo progetti che spesso vengono abbandonati oppure fatti e rifatti più volte; si dà la colpa al politico di turno, ma non ai tecnici, nonostante siano loro le scelte spesso sbagliate o altamente criticabili che creano i problemi.

Si possano esaminare due centri storici di esempio: Torino e Bologna. Non voglio disquisire di grandi progetti ed infrastrutture, ma di ciò che noi normali cittadini percepiamo come bello, piacevole, abitabile in un ambiente urbano. Camminando per le zone ristrutturate di Torino troviamo pavimentazioni uniformi realizzate in materiali lapidei dove è comodo camminare, illuminazione congruente con gli spazi, lampioni classici “Settecento Grande” dove necessario e proiettori contemporanei vicino ai progetti nuovi; di contro, a Bologna troviamo di tutto e di più, pavimentazioni in gran parte a bitume, oppure molto diverse l’una dall’altra, peggio ancora quando sono scomode perchè limitano il passeggio; l’illuminazione è caotica, fili ovunque, con esperimenti illuminotecnici senza capo né coda. Recandosi nelle città europee fuori dall’Italia troviamo quasi sempre delle belle soluzioni di finiture esterne così che i luoghi delle città appaiono piacevoli, pensiamo alla Marlene Dietrich Platz, bella e viva quanto una piazza storica. Il decoro e la cura dello spazio spesso vanno di pari passo.

Evidentemente in Italia manca quello step che congiunge l’edificio alle persone. Un bell’edificio tutto di cemento grigio, seppure ben progettato, sarà spaventoso come un carcere, ma finito in materiali adatti al luogo, con colorazioni calde e naturali, illuminato in modo adeguato e funzionale, con spazi esterni ben disegnati, ecco che quello stesso edificio potrà apparire piacevole per chi lo abita o vi passa vicino. Non solo il materiale, ma lo stesso disegno industriale è fondamentale: penso alle orribili panchine anti-sdraio di alcune amministrazioni pubbliche italiane, il cui disegno dà veramente l’idea della coercizione, della cattiveria nel non permettere un’attività umana naturale, sdraiarsi.

Esempio vivo di questo discorso è il Renzo Piano Building Workshop. Lo studio professionale, come anche l’ufficio tecnico comunale e l’Università, dovrebbe passare dall’idea del “maestro unico” a quella della cooperazione di professionisti, ingegneri, architetti, designer; il sapere è ormai molto specializzato e l’operatività che ne consegue dovrebbe essere conseguente a questa specializzazione, dando luogo a grandi studi professionali che superino i personalismi e si fondino sulla meritocrazia. A questo punto il passo sarebbe breve anche per riscoprire gli antichi mestieri adattandoli alle nuove tecnologie così da creare spazi belli, funzionali e duraturi.

Questa la potremmo definire technological fine art, dove la progettazione si lega all’arte, ai mestieri, alle necessità delle persone.

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