UNA CONVERSAZIONE CON MASSIMO FECCHI, DISEGNATORE DELLA WALT DISNEY
EDOARDO STRAMACCHIA: Tu sei tra i più famosi disegnatori della Walt Disney, ed i “Paperino” da te disegnati sono passati per le mani di innumerevoli bambini; penso che sarai rimasto incredulo nel vedere le tue strip così maltrattate nelle mie opere.
MASSIMO FECCHI: Devo dire che ad una prima osservazione non avevo capito il tuo lavoro, pur apprezzando la composizione e l’effetto coloristico dell’insieme. Accostandomi alle tele ho capito poi di cosa si trattava e mi sono sentito subito a casa, anche se mi mancava la spiegazione e la chiave di lettura di tale operazione.
E.S.: Certo, è chiaro che il mio approccio coi tuoi fumetti e col fumetto in generale non è di tipo illustrativo né descrittivo, bensì concettuale, senza tuttavia codificare in senso artistico con questo termine, le mie opere.
M.F.: Ecco, qui (e quo e qua) mi sono già perso. Come fa un fumetto a diventare un concetto?
E.S.: Concettuale forse è fuorviante. Vedi, per esempio, tu disegni, diciamo Pippo e tutti capiscono subito cosa stanno guardando; il mio Pippo è creato sulla tela solo dalle variazioni di colore, per cui è solo con l’osservazione che la mente crea una forma riconoscibile.
M.F.: Ha! Ho capito! i tuoi quadri sono come quei pannelli che mostrano un soggetto ma se fissi un punto specifico ne svelano un altro; un giochino insomma!
E.S.: Beh! Non svilire così il mio lavoro, se vogliamo inserire le mie opere nella sfera dell’arte, definirei il mio un percorso europeo nell’alveo della pop-art, parallelo ma lontano dagli eccessi della sorella americana o, più recentemente, di quella giapponese.
M.F.: Sì, solo che così il mio Paperino perde completamente la parte giocosa e comica, tipica delle mie strip,che tu usi solo come base.
E.S.: Infatti le tue strip raccontano una vicenda,io invece cancellando parole e personaggi, ma lasciando le vignette con la loro struttura e ponendole semplicemente in sequenza, una accanto all’altra, creo un non-racconto e un’atmosfera non esplicita che è poi quella che affascina di più l’osservatore.
M.F.: faccio fatica a capire,
E.S.: Nella mia serie più recente che si chiama “Tautografie”, nella struttura di base del quadro, evidenzio un elemento che poi proietto in primo piano, creando così uno sfasamento nella lettura del lavoro e cioè: è più significativo il fondo o il soggetto in primo piano? E’ lo stesso meccanismo adottato da diversi mezzi di comunicazione di massa che di un evento evidenziano il dato più catalizzante ponendo in secondo piano l’approfondimento.
M.F.: Beh! devo dire che non avrei mai pensato che Topolino potesse avere dei risvolti metafisici così profondi. Le mie, in fondo, sono storie che prendono spunto dalla realtà per proiettarla nella dimensione tenera della fiaba, dove nessuno si fa del male e i buoni sentimenti prevalgono sulle negatività dell’uomo.
Galleria “Arianna Sartori”
Mantova – via Cappello, 17
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