Volentieri pubblico l’articolo apparso il 1° luglio 2011 su Die Zeit ad Amburgo, in Germania, e tradotto da Andrea Sparacino su Presseurop.
Abbiamo ancora nelle orecchie le parole del nostro Presidente del Consiglio dire che non vogliamo una società multietnica, parole antistoriche, parole che negano la realtà, parole che feriscono ed umiliano tante persone che sono arrivate in Italia e lavorano come e più di noi italiani facendo crescere questa nazione, parole terribili se pensiamo ai bambini nelle scuole, parole che mettono in pericolo singoli e famiglie di fronte a gruppi xenofobi organizzati. Parole che preferisco non commentare. Fortunatamente non tutti gli europei la pensano alla stessa maniera. (Stefano Boninsegna)
Segue l’articolo integrale che puoi leggere a questo link: http://www.presseurop.eu/it/content/article/752411-un-europa-cosmopolita-non-andare-fondo
—
Secondo il sociologo Ulrich Beck, la vechia dicotomia tra federazione europea e stati nazionali è superata e ormai irrilevante per il futuro dell’Ue. È arrivato il momento di dar vita a un’Europa davvero cosmopolita, aperta e democratica.
Il processo di unificazione europea dopo la seconda guerra mondiale aveva una motivazione chiara: “Mai più”. L’obiettivo era semplice: trasformare i nemici in vicini di casa. Ora che questo miracolo si è compiuto, la ricerca della pace non sembra più in grado di mobilitare i popoli europei. Non c’è dubbio: l’Europa ha un disperato bisogno di nuove motivazioni.
Ecco tre proposte per il futuro:
Proposta numero 1
C’è un bisogno impellente di nuove fondamenta per l’Unione europea, perché in questo momento nel continente si sovrappongono tre diversi processi distruttivi che si rafforzano l’un l’altro: xenofobia, islamofobia e ostilità nei confronti dell’Europa. I critici dell’Islam, accusato di minacciare i valori di libertà dell’occidente, combinano abilmente illuminismo e xenofobia. Improvvisamente, nel nome dell’illuminismo si può essere contrari all’immigrazione.
Legato ai salvataggi degli paesi del sud Europa, un nuovo risentimento nazionalista ha sviluppato, e oggi cavalca, una logica incendiaria fatta di divisioni e conflitti. I paesi “donatori” devono imporre agli stati in crisi durissimi programmi di austerità. Così continuano a torturare il popolo greco, che ha già superato la soglia di sopportazione del dolore. I greci, dal canto loro, si considerano oppressi dai “dettami dell’Ue”, che viola la loro indipendenza nazionale e umilia la loro dignità. La fiamma dell’odio nel vecchio continente viene continuamente attizzata
L’ostilità nei confronti dell’Europa – il “mostro gentile di Bruxelles”, per usare un’espressione di Hans Magnus Enzensberger – viene alimentata in Germania quanto in Grecia. Dietro il risentimento verso l’Ue c’è una convinzione semplice: noi possiamo farcela da soli. E quel “noi” significa “noi tedeschi”, “noi francesi” e forse perfino “noi lussemburghesi”.
Si tratta di un auto-inganno nazionale. È il nuovo “consideratemi fuori” della Germania. Noi tedeschi parliamo dell’Europa come se la Germania ne fosse del tutto indipendente. Ma alla fine, bisognerà rovesciare le prospettive. Immaginiamo che l’Ue crolli davvero. Quanto ci costerebbe abbandonare l’euro e tornare a 12 valute nazionali, ripristinare le barriere lungo i confini degli stati, reintrodurre i controlli doganali e sostituire le leggi dell’Ue con quelle di 27 nazioni diverse?
Proposta numero 2
La malattia dell’Europa non è la crisi dell’euro. E non è nemmeno la scarsa di volontà di rafforzare l’unione politica o l’assenza di un movimento civico comune. Tutti questi sono soltanto sintomi. Il problema fondamentale dell’Europa è diverso: il continente soffre perché non riesce a capire se stesso. È precisamente il grande traguardo degli “Stati Uniti d’Europa” che rende l’Europa e i suoi stati membri arci-rivali capaci di mettere in dubbio il reciproco diritto all’esistenza. Fino a quando l’alternativa sarà tra Europa e stati nazione, senza la possibilità di una terza via, il solo pronunciare la parola “Europa” scatenerà la paura dei popoli.
Proposta numero 3
Questa “terza via non ancora contemplata” è quella di un’Europa cosmopolita e di una Germania cosmopolita. In questo senso è importante fare una distinzione chiara tra nazione e nazionalismo. I tedeschi che davanti alla strisciante disintegrazione dell’Ue chiedono di “tornare agli stati nazione” sono ingenui e anti-patriottici: ingenui perché ignorano i costi incalcolabili che la fine dell’Ue comporterebbe, e anti-patriottici perché mettono a repentaglio la Germania. Al contrario, comprendere che il futuro della Germania è cosmopolita significa fare il bene sia della Germania sia dell’Europa.
Una Germania cosmopolita può imporre anche un nuovo modello di sovranità. La verità è che l’Europa non mette a rischio la forza delle nazioni, ma la accresce. Quando è necessario, gli stati membri hanno voce in capitolo in Europa e oltre. Possono influenzare direttamente le scelte politiche europee. In più, i loro problemi interni – il crimine, l’immigrazione, lo sviluppo agricolo e la cooperazione scientifica e tecnologica – vengono risolti in gran parte grazie all’Ue.
Una Germania cosmopolita significa anche la nascita di un nuovo concetto di identità e d’integrazione, in grado di garantire una pacifica coesistenza transfrontaliera. Tutto ciò sarà possibile senza sacrificare l’individualità e le differenze sull’altare dell’omogeneità nazionale. La diversità che costituisce l’essenza dell’Europa – diversità di lingue, stili di vita, arti e forme di democrazia – dovrebbe essere considerata da tedeschi come fonte di coscienza nazionale e non minaccia all’identità nazionale.
La nostra Causa deve essere l’Europa
Bisogna capire che il futuro dell’Europa – e in questo caso il futuro della Grecia – fa parte del destino della Germania, nello spirito sancito dalle parole pronunciate da Willy Brandt in occasione della prima seduta del Bundestag della Germania unita: “Tedeschi ed europei appartengono gli uni agli altri. Ora e, speriamo, per sempre”.
È arrivato il momento di fare in modo che l’Europa diventi la Causa: dalla sua testa nazionale ai piedi cosmopoliti. La crisi perpetua che chiamiamo Europa è una grande opportunità per i politici tedeschi. La nuova politica europea – cioè i fondamenti del futuro finanziario, ambientale e sociale dell’Europa, dal più grande al più piccolo – potrebbe nascere da una coalizione di governo rosso-verde. L’Unione europea allora cesserebbe di essere il “mostro gentile” che conosciamo, diventando l’Europa sociale in divenire dei cittadini e dei lavoratori.
Un’Europa che abbraccerebbe la lotta per la legittimità democratica e le risposte politiche ai problemi globali in modo trasparente e di importanza fondamentale per la vita di tutti i giorni dei suoi cittadini. La nuova Europa cosmopolita meriterebbe il nostro voto. E allora, dov’è il Willy Brandt europeo? (Andrea Sparacino)
.