La Galleria d’Arte Arianna Sartori di Mantova, nella sede di via Cappello 17, dal 7 al 19 maggio, presenta una nuova mostra personale dell’artista bresciano Pier Luigi Ghidini. L’esposizione è supportata da un catalogo che si avvale della presentazione del Prof. Mauro Corradini, che all’inaugurazione introdurrà questa personale alla presenza dell’artista.
Segue estratto dal comunicato stampa ufficiale e testo critico del Prof Mauro Corradini.
Tra aperture surreali e quotidianità: il mondo simbolico di Pier Luigi Ghidini
1. Ci sono “attenzioni” che ci aiutano a definire gli ambiti poetici di ogni artista; e sovente, queste attenzioni linguistiche appaiono per accenni, a volte in componenti anche marginali dell’opera, in cui i particolari divengono spie o cartine di tornasole di alcune scelte di fondo. E per Pier Luigi Ghidini, le scelte di fondo sono sostanzialmente ancorabili al bisogno figurativo, evocativo, al rinvio alla memoria, alla volontà di trasfigurare la realtà quotidiana cui sembra contrapporsi, fin quasi ad avere la prevalenza, il bisogno opposto di provenienza onirica di dar voce alla fuga, di aprire un varco all’immaginazione, nel dare aperture all’itinerario espressivo. E accanto a tutto questo, il bisogno di rigore, il bisogno di una costante riquadratura, ai limiti quasi della geometria, per uscire dal magma di colori succosi, di pennellate dense, che gli derivano dalla tradizione, dall’aver condiviso, per tutti gli anni sessanta, una pittura che non si discostava dalla figurazione dal vero di stampo tradizionale, costruita da subito con una semplificazione iconografica che appare figlia ed erede della narrazione post bellica. (…)
La mostra che presentiamo costituisce una sorta di piccola antologica dell’ultimo decennio produttivo del pittore di Cellatica. Come per tutti coloro che giungono alla pittura per un talento naturale e una notevole volontà individuale, la scelta poetica arriva dopo anni di sperimentazioni; sono ormai lontane le uscite e le sedute con Giuseppe Mozzoni, lontano il bisogno di provare, riprovare e provarsi, la necessità di saggiare esperienze nuove, mantenendo i contatti continui con i lavori già terminati. La maturità si manifesta con rinnovate possibilità di pittura, negli anni di passaggio tra l’ottanta e il novanta. Si condensano e si riversano sulla tela i segni del suo lungo percorso; ma la continuità operativa, il maggior tempo di riflessione, tutto concorre a mutare, accelerare si stava per scrivere, la dimensione poetica della sua iconografia. Che sembra voler sintetizzare tutta la storia del pittore, per rivolgerla in direzione ancor più fantastica, surreale, si è scritto nel titolo, e non casualmente, tra i riferimenti colti della sua pittura si sono intravisti autori come Baj o Viviani. (…)
L’opera tende a scomporsi in più immagini, per cui la raffigurazione si trasforma in una sorta di quinta teatrale, in un fondale di scena che suggerisce contemporaneamente indicazioni diverse. Non è un quadro nel quadro, ma la magia di un racconto continuo, che vive solo sulla spinta e sulla forza dell’immaginazione; sono i paesaggi urbani, dove alberi crescono sui tetti, sono paesaggi che indicano percorsi im-possibili, scale collocate là dove non dovrebbero essere, ma senza insistere più di tanto; tanto naturali nella loro irrealtà, che ci sembrano necessariamente così. L’opera perde la fissità statica della raffigurazione; ogni cosa è dove la vediamo, ma potrebbe anche essere collocata altrove. Sono riquadri di borghi urbani che sconfinano in campi aperti, sono ciminiere fumanti in luoghi in cui non dovrebbero essere, alberi smisurati che crescono più alti della case e fiori che sembrano appartenere ad un paese che non c’è.
È forse l’isola della fantasia quella che cerca Ghidini; cerca i cespugli, le case, i soli (o le lune) in un cielo che non è mai rannuvolato; al massimo presenta nubi, calde di bianchi luminosi come lune affusolate. Come nelle iconografie di Magritte, anche in Ghidini accostamenti che ci scompensano e ci fanno sobbalzare, cieli notturni che chiudono paesaggi diurni e solari, monti che sembrano uscire dalle case, per completare lo sfondo scenico di una piazza, che una divisoria netta ha trasformato in mare lontano. (…) (Mauro Corradini)
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