C’è sempre nelle opere di Mauro Ghiglione qualcosa di enigmatico, che si sottrae alla piena leggibilità, per offrirsi solo alla profondità dello sguardo, a un vedere che non si traduce in parole e concetti, o che resta sospeso in un’interrogazione che non prevede risposte.
Dal comunicato stampa ufficiale.
A un vedere che è mettere insieme il “vedere come”, che interpreta, media, procede per analogie, paragoni, riconoscimenti, e il “vedere così” di una visione dell’accadere dell’evento, dell’improvviso balenare, dell’intensità in cui la cosa si presenta e si vede qualcosa come “qualcosa”, e si può dire solo “guarda”. In questa visione a doppio sguardo si perdono i confini tra l’essere e le immagini, tra il noto e l’estraneo. E diventa possibile la libera associazione di elementi e situazioni del presente e del passato in un’archeologia della memoria, anamnesi, rammemorazione di storie che non si sono mai vissute e che pur tuttavia sentiamo o immaginiamo che ne facciamo parte o che ci appartengono.
Oggi che la visione è la nuova dimensione del reale e le immagini hanno preso il posto delle cose e di noi stessi, il mondo è la visione del mondo nell’immagine, che ne costituisce le sue attuali istanze esistenziali. La sua memoria stessa si fonda sull’immagine, come la sua bellezza. Muta dunque lo statuto del reale, ma muta anche lo statuto dell’immagine. Non è più un’icona, un “eikon”, ma un “eidolon”, un simulacro, secondo l’idea antica di una sorta di pellicola che si stacca dalle cose o persone producendo una immagine riflessa, o, per la concezione moderna, un’immagine feticcio. L’ “eidolon” non è meno reale della cosa. Le immagini diventano allora territori autonomi. (dal testo di Eleonora Fiorani)
Dal 5 al 30 aprile – aperto da martedì a venerdì, dalle 15,30 alle 19 e su appuntamento
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