Sarà la Cina il paese protagonista dell’edizione 2017 di Paradoxa, progetto triennale partito un anno fa per investigare le forme attuali dell’arte contemporanea estremo-orientale, prodotto dal Comune di Udine – Civici Musei con l’ERPaC, Ente Regionale per il Patrimonio Culturale, organizzatore della mostra, patrocinato dall’Università degli Studi di Udine e curato da Denis Viva. Tre artisti cinesi, Cheng Ran, Xie Nanxing e Chen Wei, già affermati a livello internazionale, esporranno a Udine dal 22 aprile al 27 agosto 2017 a Casa Cavazzini, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea, i propri lavori di pittura, fotografia e video art sul tema dell’oscurità.
Ufficio stampa Civici Musei di Udine
Udine è la città che da 19 anni accoglie il Far East Film Festival, il più grande festival europeo del cinema asiatico, ed è proprio in concomitanza con questo grande evento (21-29 aprile 2017) che la mostra taglia il nastro. “Le migliaia di appassionati che si recano nella nostra città – commenta l’assessore alla cultura del Comune di Udine Federico Pirone – troveranno un’offerta culturale complementare alla settima arte”. “Una proposta di alto valore – gli fa eco il curatore di Paradoxa Denis Viva –, come dimostra il successo di alcuni artisti selezionati per l’edizione 2016 sul Giappone. Takahiro Iwasaki si è guadagnato il ruolo di rappresentante del suo Paese alla prossima Biennale di Venezia, mentre Taro Izumi è presente al Palais de Tokyo di Parigi con una mostra personale”.
Quella del 2017 si preannuncia come un’edizione particolarmente intimista e curiosa per un allestimento semioscuro, realizzato in collaborazione con l’artista pordenonese della luce Ludovico Bomben, che ha l’obiettivo di provocare un’iniziale perdita di punti di riferimento spaziali alla quale lo spettatore si adegua dopo qualche minuto trascorso all’interno delle sale.
Basata sul tema del paradosso, del pensiero controintuitivo e della contraddizione, ciascuna edizione di Paradoxa esplora un contesto espositivo nazionale e un singolo tema: dopo la manipolazione degli oggetti e del quotidiano, che era stato il focus della mostra 2016 sul Giappone, l’edizione sulla Cina ha scelto di sondare il tema dell’oscurità nell’arte e nella cultura cinese. Da sempre radicato come parte essenziale e irrinunciabile della realtà, questa tematica costituisce infatti uno dei temi classici, orientalisti, associati ai fondamenti bipolari della cultura filosofica e religiosa di questo Paese.
L’uso della luce, fioca e quasi crepuscolare o intensa e quasi accecante, e il suo alter ego, il buio, divengono elementi espressivi imprescindibili che permettono agli artisti di mantenere, da un lato, il legame con la tradizione e, dall’altro, uno sguardo più inquieto, una maggiore intimità che contrasta col futuro radioso e col collettivismo spesso associato all’arte cinese. È questa la caratteristica che accomuna le opere dei tre artisti del Paese del dragone, giovani e mid career, presenti in mostra.
Xie Nanxing (1970) raggiunge la sua immagine pittorica dopo complessi passaggi: il soggetto viene filmato, trasmesso su di un televisore, fotografato durante l’emissione così da catturare anche i riflessi dell’ambiente sul monitor e infine riportato su tele di enormi dimensioni attraverso la pittura a olio.
L’immagine che ne risulta è difficile da decifrare e si rivela soltanto nel momento in cui l’occhio si sia abituato all’oscurità.
Anche per Chen Wei (1980), tra i più giovani influenti artisti fotografi cinesi attuali, lo sviluppo dei propri lavori fotografici è frutto di una meticolosa elaborazione. Egli non immortala delle situazioni trovate, ma, piuttosto, cerca e trova oggetti, soggetti o condizioni che stimolano in lui l’interesse per metterli poi in scena all’interno del proprio studio in ambientazioni enigmatiche, costruite con estrema minuzia e scrupolosità. Il risultato sono fotografie senza tempo, con calibrati effetti di luce e oscurità, in cui la realtà appare sospesa.
L’opera del video artist Cheng Ran (1981) si caratterizza per un approccio verso l’immagine misterioso e talvolta cinematografico. Nell’opera dell’artista si stratificano una serie di riferimenti culturali prelevati dal cinema, dalla musica, dalla letteratura e dalla poesia, da citazioni o discorsi di famosi personaggi e dall’arte del mondo occidentale. L’inserire all’interno del proprio racconto questi riferimenti già prodotti da altri, provocandone uno slittamento o manipolandone alcuni aspetti, rappresenta per Cheng Ran uno stratagemma attraverso il quale riportare lo spettatore disorientato dentro l’opera. Anche per lui, la luce e la sua alternanza con l’oscurità divengono un accorgimento non secondario per la composizione di intricate scene: come in Rock Dove (2009), dove un piccolo stormo di uccelli si dibatte sotto una fredda illuminazione al neon.
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