Dom. Nov 24th, 2024

02_richmond_©FRomanoLa mostra ci accoglie con uno specchio, dove si riflettono il busto di Palladio e quello di Thomas Jefferson. È la prima domanda della mostra: come si riflettono forme e idee? Perché un architetto di una regione periferica del Nord Italia viene preso a modello per costruire l’architettura del Nuovo Mondo?

Di Giulia Bertolini

La risposta è collegata all’interrogativo di fondo: cosa ci fa in un museo d’architettura Thomas Jefferson (1743-­‐1826), colui che scrisse materialmente la Dichiarazione d’Indipendenza e fu il terzo presidente degli USA? C’è perché fu l’americano che più di ogni altro contribuì a dare un volto alla nuova nazione attraverso l’arte, l’architettura e il disegno del territorio. Fu un visionario ma anche un pragmatico, un uomo d’azione e insieme un intellettuale che conosceva il latino e il greco e che era convinto che il Nuovo Mondo si potesse costruire solo attraverso la razionalità e la bellezza.

Avete presente quelle vedute aeree delle campagne o delle città degli Stati Uniti tutte suddivise in quadrati regolari? È stato Jefferson a fare in modo che fosse così, impostando una griglia riferita ai meridiani e paralleli, ispirandosi agli antichi Romani. Ricordate la Casa Bianca, con il portico su colonne come una villa palladiana? Jefferson avrebbe voluto addirittura una copia ingrandita della Rotonda di Vicenza, e comunque la casa del Presidente dei nuovi Stati Uniti, nati da una guerra sanguinosa contro una monarchia, doveva ispirarsi all’architettura repubblicana, com’era la Repubblica di Venezia.

La mostra “Thomas Jefferson e Palladio. Come costruire un mondo nuovo” è la prima mai dedicata in Europa al grande palladianista americano. L’allestimento della mostra, curato dall’architetto Alessandro Scandurra, condurrà il visitatore nel mondo di Jefferson, le sue collezioni d’arte, i suoi progetti di architettura, i suoi sogni ma anche le sue contraddizioni: attraverso disegni, sculture, libri preziosi, modelli di architetture, video e multimedia. In mostra sono esposte anche 36 fotografie di Filippo Romano, frutto di una campagna fotografica appositamente realizzata in Virginia nella primavera del 2014. Sono presenti inoltre i tre preziosi bozzetti originali di Antonio Canova per la statua di George Washington commissionata dallo stesso Thomas Jefferson. Per rendere più coinvolgente la visita della mostra, sarà possibile scaricare gratuitamente sul proprio smartphone il racconto dei curatori e muoversi nelle sale accompagnati dalle loro parole.

Prima ancora che una mostra di architettura è la mostra su un uomo, convinto che l’architettura potesse migliorare il mondo intorno a sé. Cominciò a studiarla dai libri, poi la visitò durante un lungo soggiorno in Europa, come ambasciatore degli Stati Uniti a Parigi. Costruì due ville per se stesso e molte altre per i propri amici. Con il progetto per il Campidoglio della città di Richmond stabilì le forme degli edifici del potere civile americano. Negli ultimi anni di vita, con la sede dell’Università della Virginia creò il prototipo del “campus” universitario: un’architettura aperta, con le aule in padiglioni isolati che si affacciano, insieme alle residenze degli studenti, su un prato verde, coronato dalla monumentale biblioteca in forma di Pantheon. Un’idea di comunità e insieme la visione che sia la cultura il terreno su cui costruire i nuovi Stati Uniti d’America.

Per Jefferson Palladio era “the Bible”. Chiamò la propria villa Monticello perché nei Quattro Libri aveva letto (in italiano) che la Rotonda sorgeva su “un monticello”. Palladio per Jefferson era colui che aveva saputo tradurre la grande architettura romana antica per gli usi del mondo moderno. E soprattutto Palladio aveva creato “la villa”, la residenza dei gentiluomini (veneti, inglesi o americani) che curavano i propri interessi in campagna, crescendo sani nella natura e coltivando il proprio spirito con la lettura dei classici.

Ma uno specchio può anche deformare. A differenza dei committenti di Palladio e dei suoi epigoni britannici, i proprietari americani per coltivare le loro terre si servivano degli schiavi. Lo stesso Jefferson ne possedeva un centinaio. Erano privilegi solo per bianchi i tre diritti che Jefferson aveva riconosciuto fondamentali della Dichiarazione d’Indipendenza: vita, libertà e “ricerca della felicità”.

La mostra è dedicata alla memoria di Mario Valmarana, indimenticato professore alla University of Virginia, che dedicò una vita a creare ponti fra il Veneto di Palladio e la Virginia di Jefferson. È realizzata grazie al sostegno di Regione del Veneto e di Fondazione Cariverona, ed è frutto della collaborazione con Fondazione Canova di Possagno e con Stiftung Bibliothek Werner Oechslin di Einsiedeln. La mostra è parte di un progetto comune costruito con il Canadian Centre for Architecture di Montreal, che nell’ottobre 2014 ha ospitato il progetto fotografico “Found in Translation: Palladio-­‐ Jefferson. A narrative by Filippo Romano”.

La mostra è a cura di Guido Beltramini e Fulvio Lenzo, sostenuti da un consiglio scientifico presieduto da Howard Burns (Scuola Normale Superiore di Pisa) e di cui fanno parte James Ackerman (Harvard University), Bruce Boucher (University of Virginia), Travis C. McDonald (Corporation for Jefferson’s Poplar Forest), Damiana Paternò (IUAV Venezia), Mario Piana (IUAV Venezia), Craig Reynolds (University of Virginia). Il catalogo, in italiano e inglese, è edito da Officina Libraria.

03_president_houseIl Palladio Museum è stato pensato sin dalla sua inaugurazione nel 2012 come un luogo dove variare costantemente il punto di osservazione sul materiale esposto, una macchina di relazioni tra il palazzo e i contenuti del museo. E’ concepito come un’installazione e un progetto di architettura che dialogano in un permanente stato di interazione. Le mostre temporanee riverberano nel museo e ne costituiscono una parte viva, non un’appendice. Una contaminazione che, con questa mostra, per la prima volta investe la configurazione della sala principale, il salone d’onore. Qui ha inizio il confronto diretto tra i progetti di Jefferson e quelli di Palladio. Il salone diventa l’ingresso alla mostra, il luogo in cui si cominciano a rendere visibili i legami fra i due personaggi.
Jefferson trova in Palladio una forma resistente e plausibile per la rappresentazione della società che desidera: attraverso di lui traguarda elementi, tipologie e principi architettonici di Roma antica, resi disponibili per un mondo nuovo. Jefferson guarda a Palladio attraverso un dispositivo che ritaglia alcuni elementi fondamentali trascurandone altri e integrando il tutto con un nuovo e pragmatico atteggiamento scientifico ed empirico. La deformazione che ne deriva non è priva di fascino e i dispositivi che allestiscono la mostra ricalcano questa fascinazione. Gli oggetti e le sequenze nelle sale riprendono l’idea di una esposizione campionaria di insoliti strumenti scientifici. Agli albori della sperimentazione illuminista si affastellano invenzioni bizzarre e ingegnosi meccanismi, il tutto avvolto in una nube di mistero. Non è ancora così definitiva la distanza tra magia e scienza, e i dentisti del Mississippi di Tarantino viaggiano come imbonitori in improbabili carrozze, con giganteschi molari sul tetto. Le prime “macchine da fotografo” a soffietto sui treppiedi, i copialettera automatici e altre bizzarre invenzioni convivono con mappature sempre più efficaci e strumenti di precisione, pragmatiche protesi che amplificano la possibilità di controllo sulla natura o ne esibiscono le pieghe misteriose.
Quasi sempre i progetti di Jefferson sono esposti in arcipelaghi di oggetti, insiemi di elementi eterogenei accostati, ognuno dei quali sostiene disegni, immagini, modelli, libri. Mi sembra in qualche modo consonante con il fatto che, nel procedere di Jefferson, l’architettura mette in rapporto diretto la parte simbolica con quella funzionale, senza scale intermedie che consentano agli edifici di trasformarsi in organismi e le parti di integrarsi le une con le altre. In tal modo queste ultime, come parole di un discorso che deve essere molto comprensibile, fanno si che ogni elemento si leghi in relazione ad un altro ma resista a questo legame con una propria autonomia. Alessandro Scandurra, curatore dell’allestimento.

Vicenza, Palladio Museum, 23 settembre 2015 -­‐ 28 marzo 2016
Preview per la stampa sabato 19 settembre, ore 11.00
Inaugurazione al pubblico mercoledì 23 settembre, ore 18.00