Il progetto artistico “Mito sepolto” – Alarico e la leggenda dei due fiumi, elaborato dall’Associazione culturale Vertigo Arte di Cosenza, e voluto da questa Amministrazione comunale e dal suo Sindaco Arch. Mario Occhiuto vuole essere a nostro giudizio un momento di seria riflessione, utile a far crescere nella città di Bernardino Telesio, la consapevolezza delle proprie radici storiche. Questa per noi è una stimolante occasione che vede artisti affermati in campo internazionale impegnati attorno alla leggendaria figura del re visigoto Alarico. Migliore narrazione non poteva esserci per presentare interessanti opere di artisti contemporanei al Complesso Sant.Agostino negli spazi espositivi del Museo dei Brettii e degli Enotri.
Gli artisti:
SALVATORE ANELLI CATERINA ARCURI, RENATA BOERO, CARMINE CALVANESE, ANGELO CASCIELLO, PINO CHIMENTI, MICHELE DE LUCA, GIULIO DE MITRI, TEO DE PALMA, ELENA DIACO MAYER, EDITH URBAN, MARTIN FIGURA, FRANCO FLACCAVENTO, CARLO FUSCA, ORAZIO GAROFALO, SANDRA HEINZ, FELICE LEVINI, NICOLA LIBERATORE, ALBANO MORANDI, GIANFRANCO NOTARGIACOMO, MAURIZIO ORRICO, SALVATORE PEPE, TARCISIO PINGITORE, ANTONIO PUJIA VENEZIANO, FIORELLA RIZZO, ALFREDO ROMANO, GIUSEPPE SALVATORI, GIULIO TELARICO, VINCENZO TRAPASSO
La mostra a cura di Luigi Paolo Finizio comprende 28 artisti, di cui tre artisti tedeschi. Il catalogo dell’esposizione in fase di allestimento sarà realizzato presso l’editore Rubbettino per la collana di Giorgio Bonomi.
Una mostra parlante a cura di Luigi Paolo Finizio
Una grande stagione di mutazioni culturali comprende la penetrazione dei barbari, le genti germaniche, lungo la penisola italiana tra l’alto e basso medioevo. Stagione che al cuore dei suoi eventi storico sociali presenta la incalzante caduta della romanità, delle sue istituzioni di potere, dei suoi costumi e convinzioni religiose. La storia e la storiografia ci tramandano come attraverso le scorrerie e gli insediamenti dei barbari sono cambiate le condizioni della vita quotidiana e dei suoi fondamenti morali nei vari centri abitati e, in modo particolare, a Roma: centro non più di dominio e irradiazione greco-latina per assurgere a luogo di consacrazione e diffusione del Cristianesimo.
All’irruzione e propagarsi dei barbari in Italia ci sarà il solo contrasto temporeggiatore e di mediazione del potere pontificio, la Cattedra di Pietro. Dopo il divieto dei culti pagani seguì l’avanzata della fede cristiana, la religione dell’Impero tra Oriente e Occidente. Non poco della penetrazione dei barbari dipese dalla contaminazione attiva e passiva con la popolazione romana, come non poco della loro compatibilità crebbe attraverso l’arruolamento nell’esercito romano e le conversioni al cristianesimo. E come ci rende noto la memoria del progresso evangelico le conversioni dei Germani al cristianesimo ariano, per opera del goto romanizzato Ulfila, progrediva dalla metà del IV secolo. In effetti, i barbari non furono fanatici difensori e diffusori delle proprie credenze religiose lasciandosi educare e convincere dal credo cristiano e non mancarono traduzioni della Bibbia nella loro lingua. Così, a quel tempo si poteva essere del tutto contrari alle genti venute dalle terre del Reno o decisamente germanofili. Pendolari propensioni che ancora oggi, pur con assai diverse motivazioni, stanno diramando fra di noi.
Questo, insomma, il contesto dell’Italia medievale, di Roma prerinascimentale, quando si affaccia ed emerge la figura del visigoto Alarico, che, per meriti militari verso Roma, divenne magister militum. Eppure, Alarico, primo re della tribù dei Visigoti, passerà alla storia quale condottiero che assedia e compie il cosiddetto sacco di Roma nel 410 d.c. Evento e data che marcarono l’ingresso del Medieoevo tra le mura e la classicità di Roma, mentre nella lontana e cristiana Betlemme si arrivava a dire che la “luce del mondo era stata oscurata” (Gerolamo). Di conseguenza, nel futuro dei tempi medievali la legislatura d’occidente non sarà più di un romano ma di un franco regnante su germani e latini, Carlo Magno il primo a reggere il Sacro Romano Impero. E come ai tempi della Grecia e della Roma dei pagani corrispose il canto dell’arte epica dei poemi eroici di Omero e Virgilio, cosi sullo sfondo delle incursioni e stanziamenti delle genti barbariche, nei tempi medievali e oltre, corrispose, con lo spirito dominante della cristianità, l’epica dei poemi eroici delle crociate e del mondo cortese della cavalleria.
Figura storica quella di Alarico (395-410) che si imprime rapida e senza precisi contorni sulle soglie dei tempi medievali. Nella sua breve esistenza di guerriero e patteggiatore di bottini, lungo il primo decennio del V secolo, la sua vicenda ha impresso nella storia una perdurante scia leggendaria nata in terra calabrese. Ad essa la città di Cosenza e l’associazione culturale ‘Vertigo Arte’ hanno inteso dedicare una rievocazione con l’iniziativa di questa mostra di arti visive intitolata: ‘Mito sepolto, Alarico e la leggenda dei due fiumi’. Provocati e coinvolti, ciascuno degli artisti invitati ha fornito una propria rimemorazione immaginativa, un seguito di epifanie plastiche con cui la leggenda di Alarico irrompe e si rigenera agli occhi dei visitatori che, secondo pure gli auspici di chi scrive, potranno nel suo percorso godere di una mostra parlante.
Una mostra che racconta e rigenera per fantasie ed evocazione un mito funereo, una leggenda ariana carica di credenze ultraterrene e aurei decori non tanto dissimile da quelle che ha potuto celebrare nell’oro del Reno la musica wagneriana. A Roma, per molti dei conservatori dei credi pagani la venuta di Alarico aveva avuto presagi da imputare all’abbandono della protezione degli dei. Anche la repentina morte di Alarico apparve come un segno, la nemesi del suo castigo. Sia da una parte che dall’altra si confidava in un Dio che prima o poi interviene per giudicare e punire. Correva, intanto, tutto un processo di miscelatura tra credenze pagane e cristiane, e come tanti templi venivano trasformati in chiese anche molti culti e dei pagani si commutavano in riti e santi cristiani. E, sappiamo, che per quanto gli adepti del cristianesimo dicessero il contrario nel ricorrere al Dio provvidente, pure questa mano protettrice non evitò nel futuro la sequenza dei flagelli di Dio, da Attila a Genserico e alle ripetute scorrerie dei saraceni, sino, per noi oggi, alle contemporanee e feroci persecuzioni e contrapposizioni con la fede mussulmana.
Nei fatti di allora, valga ripetere, la memoria storica di Alarico, pur recidivo di precedenti e rapide invasioni su Roma, nasce principalmente dal vandalico sacco di Roma nel 410 concludendosi con l’epilogo, nello stesso anno, della sua morte e sepoltura nel letto di confluenza dei fiumi Busento e Crati a Cosenza. Nasce di qui la leggenda calabrese legata alla sepoltura più che alle gesta guerriere del biondo Alarico. In effetti, per la gente e la città, il sacco di Roma, durato tre giorni, non fu proprio un cataclisma causato dall’aggressione dei visigoti quanto, maggiormente, in quei tempi, per l’imperversare della carestia. Le orde dei visigoti non furono particolarmente feroci verso il clero e i palazzi della cristianità. La loro dura irruzione venne maggiormente intesa e risentita simbolicamente come un tragico crollo culturale. Del resto, l’assalto ebbe complici tra i romani. Probabilmente la parte più gustosa del bottino fu per Alarico, già più volte elargito di ori e argenti, l’avere catturato la bella Galla Placidia, sorellastra del deposto imperatore Onorio. Alla morte di Alarico andò sposa al successore Ataulfo, ma il destino di Galla Placidia corse ben oltre arrivando a presiedere l’Impero di Bisanzio a Ravenna con la reggenza per il figlio Valentiniano III. E’ nota a tutti la memoria del suo trionfo iconografico nei mosaici di Ravenna.
Una prima importante conseguenza di ordine culturale all’azione vandalica di Alarico, ai suoi effetti di declino di un mondo venne da due eminenti intellettuali della cultura greco-latina e cristiana, S. Agostino e Paolo Orosio, suo discepolo, nativi entrambi dell’Africa: dove avrebbe voluto sbarcare Alarico per conquistarla, ma invano. Rispettivamente scrivono la Città di Dio e i Sette libri contro i pagani. Per quei tempi di esordi medievali furono due voci molto ascoltate della storiografia e propaganda cristiana, per come seppero mediare verso le resistenze e il superamento delle credenze dei pagani e delle genti barbare. Secondo cioè una idea di storiografia universale che preparò e dispose l’istituzione di Roma caput mundi, quale capitale della fede, quale luogo principe di teologia politica. Per S. Agostino, contro le avversità della vita, anche la fede negli dei pagani poteva essere stata idonea a raggiungere la vita eterna. Nella sua visione, Dio è ed è sempre stato in noi. Ma con gli esordi del Medioevo nella vicenda di risalto e poi di scomparsa di Alarico, si apre un senso tutto nuovo per la storia del nostro italico territorio sotto l’avanzante autorità della Chiesa. Storia intricata al penetrante dominio delle genti barbariche e che vede sulla sua estensione geografica consolidarsi la denominazione di Italia. Il laico e storico Jacques Le Goff, nel suo saggio L’Italia nello specchio del Medioevo, proprio seguendo la lettura di la Città di dio di S. Agostino giunge a scrivere: «Agostino – e i cristiani – annunziano che il 410 è il preludio all’ultima età in cui il mondo è entrato. Il mondo declina, invecchia. La fine del mondo è vicina. Solo Dio ne conosce la data. Ma il processo è cominciato: il 410 è l’inizio della marcia funebre che la Chiesa, per quasi tutto il Medioevo, farà recitare alla storia.»
Possiamo dire, per il tema della nostra mostra, che l’overture di tale marcia funebre, si può immaginare, risuoni pure nel rituale, accompagnato, da canti e invocazioni, della leggendaria sepoltura di Alarico nel letto deviato del Busento. Luogo fluviale dove venne sepolto con il suo cavallo e l’aureo bottino in una fossa scavata dagli schiavi, forse quelli portati da Roma, e poi decimati perché restasse segreta. Un tesoro sepolto che come tanti altri, veri o leggendari, ha sollecitato la fantasia e le brame di numerosi investigatori sino ancora ai nostri giorni. Il mito sepolto di Alarico fece gola anche ai nazisti. Nei primi decenni dell’Ottocento il poeta tedesco August von Platen gli dedicò una poesia tradotta per noi dal Carducci, La tomba del Busento, che tra i versi rievoca la scena dello scavo e sepoltura: « cavan, cavano la terra e profondo il corpo calano, a cavallo, armato in guerra. Lui di terra anche ricoprono e gli arnesi d’or lucenti.» Saranno i cavalieri e la letteratura del tempo delle crociate a dare al cavallo il nome cortese di destriero. Come tutte le genti barbariche, la tribù dei visigoti aveva una speciale confidenza e promiscuità con il cavallo. Vero compagno di vita e di morte, in groppa del quale combatteva, dormiva, mangiava e amoreggiava. In fondo, per la vita e per la morte, non molto diversamente dall’uomo civile della modernità, quando alla confidenza con il cavallo si è sostituita quella più comoda e perigliosa della forza cavalli a quattro ruote con il suo discreto e confortevole abitacolo.
Vertigo, Centro Internazionale di ricerca per la Cultura e le Arti Visive Contemporanee
Via Rivocati 63, 87100 Cosenza
Fino al 15 febbraio 2015