Gio. Nov 21st, 2024

Da sempre sensibile alla dimensione metropolitana dell’esistenza, in quest’ultimo progetto la Agnes affronta la questione della dicotomia, all’interno dello spazio urbano, tra i limiti e le restrizioni che l’architettura, spesso dietro la maschera di un ineccepibile aspetto formale nasconde, e l’utopia che la stessa si sforza di risolvere attraverso ardite sperimentazioni urbanistiche. Il progetto include una serie di disegni e due arazzi.

Nei disegni l’artista parte da un dato personale, questi infatti si riferiscono a città e luoghi reali, un taccuino di viaggio come era uso presso i viaggiatori ottocenteschi. I disegni denunciano l’inganno della bellezza metropolitana, che di fatto cela restrizioni, e chiusure. Ci sono limiti che possono rimanere nascosti per chi non ne ha esperienza diretta, la loro ovvietà può sfuggire alla consuetudine o nascondersi dietro la bellezza. I processi in atto nelle città sono espressione del modo in cui la nostra società è strutturata. I disegni sono una critica all’ordinamento dello spazio cittadino, che spesso non prende in considerazione le reali esigenze degli abitanti, ma cerca di omologare gli individui allo standard di un individuo-tipo, escludendo ciò che è difforme o alternativo ad un ordinamento sociale tradizionale.

I ricami, che fanno da contrappunto ai disegni, sono riflessioni su approcci alternativi all’abitabilità.

Il primo ricamo, dal titolo “Phalanstère, Familistère, unité d’habitation/ Falansterio, Familisterio, unità abitativa”, è un breve escursus storico, che parte dalle prime proposte dell’urbanismo utopico per arrivare al modernismo e a complessi urbani realizzati in anni recenti. Il ricamo rappresenta un “paesaggio ricamato” da cui emergono 3 architetture collegate tra loro da una strada-sentiero. Il primo è il “Falansterio” di Charles Fourier (1822), struttura abitativa in cui si svolge la vita dei membri dell’unità sociale di base chiamata “Falange”. Il Falansterio è di fatto il progetto di una vera e propria città, un complesso pensato per 1620 abitanti, che si sviluppa in una serie di edifici collegati fra loro, fino a creare un unico edificio regolare. E’ una città autosufficiente che produce e opera collettivamente. Proseguendo il percorso abbiamo un progetto realizzato fra il 1856 e il 1859 da Jean-Baptiste André Godin: Familistère. Godin parte dalle teorie di Fourier. La sua intenzione era quella di migliorare le condizioni abitative dei lavoratori, ma anche “di produzione, scambio, fornitura, istruzione, e ricreazione”, tutte le sfaccettature della vita di un lavoratore moderno. In Godin è la relazione uomo-produzione ad essere al centro della sua utopia urbanistica. Alla fine del sentiero abbiamo la facciata di una delle Unité d’Habitation di Le Coubousier (1947). Una sorta di città nella città. Concepita come una vera e propria “città verticale” caratterizzata da spazi individuali inseriti in un ampio contesto di aree comuni. Queste architetture, se nascondono un aspetto fallace, nell’ impossibilità a creare il luogo “perfetto”, svelano comunque il tentativo di fare dello spazio un problema sociale, sicché tali utopie rimangono esperienze fondamentali da cui partire per poter elaborare nuove strategie

Il secondo ricamo, dal titolo “La ricerca della città perfetta e le 4 funzioni umane”, si ispira alla Carta di Atene del 1938. Nella Carta di Atene si specificano i principi fondamentali della città contemporanea ed è un documento fondamentale del Movimento Moderno e della sua visione dell’Urbanistica. Fra i vari punti vengono a delinearsi 4 funzioni umane: abitare, lavorare, divertirsi e circolare. Queste 4 funzioni base sono riportate ai 4 angoli dell’arazzo: caselle di partenza per iniziare il gioco dell’oca che il ricamo riproduce. Un gioco in cui non esiste vincitore o fine, perché le caselle sono collegate fra loro senza soluzione di continuità. Sulle caselle stesse si trovano qua e là dettagli di edifici e note.

Ovviamente rimangono aperte le seguenti questioni: Ma a quale cittadino/a sono rivolti tali progetti? Quale può essere il minimo comun denominatore fra gli individui e le loro necessità? In che modo l’abitare può rimanere un processo aperto (fluido) anziché restrizione e ordinamento imposto dall’alto?

Sia i disegni che gli arazzi svelano delle norme. Da un lato la bellezza dei disegni nasconde le restrizioni che incontriamo quotidianamente, dall’altro le “buone” intenzioni dell’urbanistica “sociale” che si esemplificano nelle architetture modulari presenti sul primo ricamo e nella “Carta di Atene” del secondo.

 

Davide Gallo

Via Carlo Farini 6, 2nd courtyard, 20154 Milan.

12 Dicembre 2014 – 31 Gennaio 2015

da martedì a sabato, dalle 15,30 alle 19 o previo appuntamento.

www.davidegallo.net