Quest’anno sta finendo il suo corso irripetibile, come il tempo e come l’arte. L’ambiente più attivo della scena artistica bolognese, la Galleria Wikiarte, vive l’instancabile mutarsi della creatività umana e riesce, grazie all’eterno spirito giovane, a seguire e illustrare queste costanti dinamiche.
Testo critico di Denitza Nedkova
Scorrere, confluire, mescolarsi, amalgamarsi sempre e comunque: questa è la linfa vitale delle creazioni di Dina Montesu. I colori, sempre consapevoli della loro armonia tonale, non si competono la tela ma l’abbracciano insieme, coprendola delle lacrime o delle carezze filiformi di improvvise gioie o dolori. Ogni tono a sempre una valenza ambigua:il rosso è forte per il riso liberatorio o per il grido straziante, il giallo è fuoco di passione o di odio, il blu è pace silente o malinconia inespressa. I pattern policromi tessuti di segni ripetitivi trasformano i lavori di Montesu in stati d’animo, umori che ogni uno di noi vive diversamente e, dunque, interpreta diversamente trovandosi a interagire con l’opera dell’arte. La libertà d’espressione coincide, nell’immaginazione di Dina, con la libertà di sentire e di farsi sentire.
L’emotiva libertà assoluta è, però, priorità dell’innocenza infantile. Susanne Seilkopf lo sa da sempre e da sempre si rifiuta ad abbandonare il privilegio di essere bambina. Il suo mondo favoloso non rappresenta una rifugio per l’essere contemporaneo, stanco dal frenetico delirio quotidiano. Il ricordo degli anni passati diventa, bensì, un modus vivendi che permette la generazione di un arte visionaria, ingenua ma non per questo innocua. I fiori, i giocatoli, i cuccioli,le bambine invadono la superficie creativa dovunque trasformandola in una finestra verso il passato che ci risucchia e ci attira indietro negli anni come una macchina del tempo. Tutto accade senza che ci accorgessimo, come un flash back, come un ricordo che emerge dalla memoria e, a nostra insaputa, ci fa intraprendere il viaggio di ritorno verso l’età dorata dell’infanzia.
L’aurea vita del figlio dell’ uomo si legge anche nei grandi occhi brillanti dei personaggi di Rubens Fogacci. E perché fantasia sia, le linee si sbizzarriscono e i colori si accendono in immagini complete tra sogno e realtà. Le creature di Fogacci attraversano tuta la storia dell’arte, trasformandosi in una sintesi tra fede rinascimentale,mitologia manierista,policromia simbolista, le deformazioni avanguardista ma anche la lucida superficie plasticata del pop. Rubens è intento a “spogliare l’anima” dei suoi modelli, immaginati o veri, umani o animali, vegetali o artificiali, per ottenere il vero senso del fare arte. Il grande compito del creativo , nel caso di Fogacci, è di ritrarre la vita, perché « La vita è un dono, dei pochi ai molti, di coloro che sanno e che hanno a coloro che non sanno e che non hanno. » (Amedeo Modigliani).
Il pittore come unico vero testimone dei suoi tempi è il credo anche di Luccio Ranucci: “La pittura – dirà in una intervista nel 1980 – mi interessa particolarmente per la sua incidenza sui fenomeni sociali e politici”. Il grande esponente del cubismo realista completa il viaggio nella vita del uomo, intrapreso dai tre artisti già esaminati. Il compito di “parlare” a nome dell’umanità si trasforma il grido contro la carenza sociale nei lavori di Ranucci. Le sue figure sono immobili, silenti, assorti in una contemplazione attiva del reale. L’artista decide di fissare l’osservatore, comunicando non con le parole, ma con le presenze imminenti della nostra esistenza. I lavori del grande avanguardista emanano un richiamo di riflessione su ciò che eravamo, su ciò che siamo e perchè lo siamo. Non a caso la decostruzione della prospettiva naturalistica è quella che porta a una comprensione veritiera del vero stato del uomo contemporaneo.
Galleria d’Arte Contemporanea Wikiarte
Via San Felice 18 – Bologna
Dal 29 novembre all’ 11 dicembre 2014
Dal mercoledì al sabato dalle 11.00 alle 19.00 con orario continuato
martedì e domenica dalle 15.00 alle 19.00
lunedì chiuso