La Triennale di Milano presenta la mostra Abiti da Lavoro, a cura di Alessandro Guerriero, che sarà aperta dal 25 giugno al 31 agosto. In mostra saranno presentati 40 abiti da lavoro ideati da progettisti di tutto il mondo: Afran, Rodrigo Almeida, Alberto Aspesi, Gentucca Bini, Denise Bonapace, Andrea Branzi, Nacho Carbonel, Klaudio Cetina, Cano, CoopHimelblau, Dea Curic, Nathalie Du Pasquier, Elio Fiorucci, Matteo Guarnaccia, Nuala Goodman , Daniele Innamorato, Mella Jaarsma, Toshiyuiki Kita, Guda Koster, Colomba Leddi, Antonio Marras, Franco Mazzucchelli, Alessandro Mendini, Angela Missoni, Issey Miyake, Amba Molly, Frédérique Morrel, Margherita Palli, Lucia Pescador, Bertjan Pot, Clara Rota, Andrea Salvetti, Nanni Strada, Tarshito Strippoli, Faye Toogood, Otto von Busch, Vivienne Westwood , Allan Wexler, Erwin Wurm, Melissa Zexter.
Abiti da Lavoro nasce anche dalla generosità di alcuni dei 40 progettisti coinvolti, che, insieme all’Associazione Tam-Tam, diretta dallo stesso Guerriero, hanno voluto accettare la sfida di Arkadia onlus per favorire l’inserimento lavorativo di giovani disabili.
“Il percorso è quello usuale della sartoria: si insegna ai ragazzi che frequentano il workshop gratuito di Tam-Tam come si trasforma uno schizzo in un cartamodello. Trasmettiamo questi cartamodelli ad Arkadia Onlus, dove un gruppo di persone con disabilità li trasforma in abiti veri e propri. Abiti da Lavoro, appunto. Le ragazze e i ragazzi di Arkadia misurano, tagliano, cuciono, stirano. Lo stanno facendo anche in questo momento” raccontano Alessandra Zucchi e Alessandro Guerriero che in questi mesi hanno imbastito l’idea, tessuto la rete delle relazioni e coordinato la realizzazione della collezione dei 40 abiti in mostra.
“Nel proporre la mostra del progetto-ricerca sull’abito da lavoro ideato da Alessandro Guerriero ciò che mi ha mosso è anzitutto il suo tema in un epoca in cui il lavoro manca e assume una cittadinanza incerta e si è smaterializzato o si è fatto flessibile, precario o reinventa se stesso aprendo a nuove professionalità. Un tema che anche per questo è diventato centrale in tutta la moda del nuovo Millennio. Ma anche il suo articolarsi e crescere nella prima fase nell’ambito dei social network, che sono nuove forme di società, luoghi abitati, attraversati che funzionano da casa, piazza, vetrina, che somigliano alle persone e alle comunità che le abitano. Un luogo corale, un dispositivo esperienziale dalle tante voci, un fabulatore delle identità e immaginari contemporanei. E ho pensato che sarebbe stata bella una mostra in cui gli abiti da lavoro ideati da stilisti, architetti, designer, artisti fosse in grado di raccontare attraverso l’abito da lavoro, assunto nelle sue diverse declinazioni, come è cambiata la società e la stessa progettazione, ridando all’abito la materialità del lavoro e la sua “verità”, che è quella di trovare il proprio posto nel mondo, in cui ritorna in primo piano la dimensione emozionale e immaginativa del proprio essere sociale e culturale. E mi piace e commuove pensare alle mani e al sorriso dei giovani diversamente abili di Arkadia che in parte li hanno confezionati, e vedo in essi un surplus di valore donato a ogni abito”. Eleonora Fiorani, curatore Triennale Moda
Abiti da Lavoro oltre a voler rappresentare una tensione per l’innovazione sociale, propone una riflessione socio-antropologica: un tempo l’abito faceva il monaco, il metalmeccanico, l’avvocato, il banchiere, la signora alla moda, il fantino, il musicista, il cuoco, il marinaio, la prostituta, il poliziotto, il medico, il portiere, il giudice, il muratore.
Ma oggi?
Se originariamente l’abito da lavoro (il lavoro di vivere) nasce come gesto d’amore che dice protezione e cura, nel tempo è diventato l’espressione di scale di potere che definiscono la nostra condizione, trasformandosi soprattutto in habitus, in funzione e segno sociale.
L’attuale centralità dell’individuo ha però ancora una volta mutato il senso di ciò che indossiamo: la funzione sociale svanisce e l’abito assume soprattutto il valore dell’espressione individuale: diventa travestimento e forma dei nostri pensieri. Se prima era l’immagine che il mondo ci attribuiva – non si poteva lavorare in banca senza giacca e cravatta – oggi è l’immagine di ciò che noi vogliamo essere nel mondo.
L’abito è corazza della condizione fisica, sociale, morale e culturale di ciascuno e che ciascuno sceglie per sé. Diventa la speranza, più o meno fondata, che ognuno di noi nutre verso se stesso e, nello stesso tempo, la misura, l’immagine e il valore di come ciascuno vive i rapporti interpersonali: l’abito diventa il progetto.
Un progetto che – se rispecchia l’originaria vulnerabilità fisica e psichica dell’uomo – propone involucri non datati, irrispettosi della mera funzione, lontani da logiche mercantili. Non manufatti di design o opere d’arte, ma volumi e forme talvolta incompiute o modificabili, prove generali di ri-vestimento.
Abiti da lavoro è una mostra che si presta dunque a diversi livelli di lettura e rielaborazione, un’opera collettiva che darà luogo il 3 luglio dalle 14.30 alle 22.00, presso il Teatro Agorà, al Convegno Inusuale. Durante l’incontro noti artisti, medici, scrittori, giornalisti, cuochi, psicologi, imprenditori, psicologi, editori, proporranno brevi suggestioni su “abiti”, “lavoro”, “corpo”, “identità”. Performance, proiezioni e parole si alterneranno alla lettura di brevi testi scritti da Giacomo D. Ghidelli.
Il Convegno Inusuale si concluderà con un concerto jazz di Claudio Fasoli (sax), Luca Garlaschelli (double bass) e Massimo Minardi (chitarra elettrica).
ABITI DA LAVORO
A cura di Alessandro Guerriero
25 giugno – 31 agosto 2014
Triennale di Milano
Viale Alemagna 6 – 20121 Milano