Gio. Nov 21st, 2024

Ogni movimento di pensiero diviene trasfigurazione ironica e tragica assieme, la visionarietà si pone come elemento contrastivo assoluto, declinato nei tratti stilizzati di forme uniche in continuità nello spazio. Alla base del linguaggio pittorico di Roberto Tomba vive un atteggiamento poetico, un complicato sistema di relazioni segniche che legano le immagini tra loro illuminandone i significati, rielaborando una materia complessa e stratificata di storia individuale e collettiva assieme. Il dialogo con la realtà, il favoleggiamento fulmineo ed improvviso che si sovrappone al quotidiano è il naturale controcanto di dipinti che nella riflessione filosofica – così come nel risvolto psicologico – trovano una propria, ulteriore collocazione. La mitologia ( intesa quale insieme di suggestioni e simboli di un codice accettato e decodificato ) diviene allora mitopoiesi, costruzione di una storia che produce e continuamente reinventa per sé stessa significati ulteriori e rinnovati.L’allusività dell’immagine costruita da Tomba integra relazioni complementari cercando sempre l’altro da sé, disponendosi ad accogliere, non ad escludere.

I colori netti e decisi, le forme pure e lineari, prive di incertezze o tentennamenti, traducono sul piano formale una polisemia estrema: il suo sistema psicologico trova continuità nel sistema segnico – anche meramente grafico – facendo dell’opera una sorta di serbatoio di esperienze, luogo prediletto di decantazione di accadimenti, reali anche quando solamente supposti.

L’esperienza biografica intensa, avventurosa di Lucio Ranucci, vissuta attraverso Paesi che lo hanno visto occupato nei mestieri più disparati, ritrova il proprio naturale correlativo oggettivo nella sua pittura, estrema e rigorosa, dai tratti duri, spigolosi, ma così incisiva e icastica in una lettura che si spinga oltre e al di là della soglia del visibile. Sono i colori a determinare i movimenti dialettici del pensiero, ad espandere e spezzare le tensioni che creano le forme, i rapporti dimensionali nello spazio. Più volte, considerando le proprie opere cinematografiche, Michelangelo Antonioni diceva che la storia, la narrazione, non era altro che un fatto, un puro accadimento, mentre era il colore, nel suo rapporto con i vari tempi e dimensioni dell’immagine, a stabilirne la qualità. Allo stesso modo, probabilmente, in Ranucci dove la reiterazione del soggetto ( la donna che legge, l’interno con i due amanti, le varie scene di mercato ) è pretesto per una più ampia analisi dei rapporti e delle situazioni umane: la storia narrata diviene simbolo e referente di una Storia universale, visione e interpretazione di un’intera “commedia umana”, per dirla con Balzac. L’accostamento ardito di colori violenti, pieni, contribuisce a costruire uno speciale senso di saturazione dello spazio di ascendenza cubista, solidamente bilanciato in nuclei cromatici che articolano l’immagine scomponendola in piani animati progressivi. Caratteristica fondamentale che riguarda ogni personaggio dipinto da Ranucci è la totale assenza di sguardo: attraverso due semplici cavità nere il volto si riappropria della maschera, recuperando il significato profondo che la parola “pròsopon” aveva nella civiltà classica: la persona, l’anima, la reale essenza dell’individuo.

Il maestro produce così una sorta di umana archeologia contemporanea, una analisi storica che sorpassa il tempo sbriciolandolo nell’istante universale.

Il pensiero praticato diviene visione simultanea, scaturigine e sviluppo di quanto vive della propria naturale essenza, sbriciolando ogni tipo di sovrastruttura o falsificazione d’immagine.

L’intero procedimento artistico di Feofeo genera una complessa trama di colore esposta in sintesi estrema, priva di restrizioni, senza mediazione alcuna: lo straniamento si produce in forma di ipotesi, erosione spazio-temporale, rottura e proseguimento di una consequenzialità logica, eversione di ogni ordine fisico e spirituale.

L’indeterminatezza asimmetrica prodotta dall’uso del colore diviene uno speciale tema lessicale, frase sincopata tra le cui righe possa leggersi il carattere centrale di un contesto intimo, personale tanto quanto collettivo ed universale. L’autenticamente soggettivo si produce allora come nient’altro che un’ulteriore forma di oggettivo: dilata le possibilità di rappresentazione esprimendo universalmente fenomeni che possono accadere soltanto nel cerchio di una data personalità. Per questo il lavoro dell’artista può rivelarsi come alchemico, sia a livello visivo che semantico: alchimia è tutto quanto trasforma, conduce, traveste, introduce e depista, muta di sostanza e scinde, da uno sfondo magmatico ad uno lucido, oscuro e limpido insieme. Attraverso la scomposizione e ricostruzione degli elementi primari del colore, Feofeo tende a confrontarsi con un tipo di arte liquida, biomorfa, capace di modificarsi e modificare – ad ogni singolo sguardo – la percezione intera dell’immagine. La forma è idea dinamica, ipotesi metafisica trasformatrice, in grado di prendere per mano il pensiero e trasportarlo oltre, avanti, entro il virtuosismo congelato della temporalità immobile.

Se la fotografia non è che l’interrompersi di visioni successive ed ulteriori, ciò che ne si ricava sarà un’assenza immobilizzata, privata dell’apertura alla possibilità di un ritorno.

Il lavoro di Stefano Niccolini procede – in questo senso – verso una particolare forma di contemporanea trascendenza che, mantenendo come poetica assoluta la centralità del corpo, rivela a poco a poco una cifra stilistica fondata sopra un tipo di rappresentazione radicale.

La visione resta costantemente costruita sull’equilibrio di due polarità estetiche, ora esteriorità ed ora introspezione, specchio – a loro volta – di due più grandi categorie formali: quella che concerne il visibile (simmetria), e quella che si affida all’intuibile (armonia).

“La fotografia perviene all’arte attraverso il teatro” scriveva R. Barthes, teatro che sia – prima di ogni altra cosa – dubbio ed interrogazione. Gli scatti di Niccolini ( costruiti e realizzati attraverso la cura di ogni singolo dettaglio dell’immagine) rimangono continuamente in bilico sopra un qualcosa di irrisolto: la dualistica fascinazione per le ambientazioni – da una parte fastose, dall’altra scabre ed essenziali – così come la quotidiana battaglia tra esterno ed interno, un percorso conoscitivo iperbolico che dal dato oggettivo ammaliante conduca allo svelamento di un’introspezione.

Nella neutralizzazione del “corpo/immagine” si compie e si realizza l’idea visiva che ne restituisce il corrispettivo sensibile. La superficie del “veduto” viene oltrepassata dalla stratificazione della “visione possibile”, liberando il ritmo verbale del proprio – particolare – linguaggio interiore. (Alberto Gross)

 

Galleria d’Arte Contemporanea Wikiarte

Via San Felice 18 – Bologna

Curatrice mostra: Deborah Petroni

Durata mostra:

dal 24 maggio al 05 giugno 2014

dal martedì al sabato dalle 11.00 alle 19.00 con orario continuato lunedì e domenica chiuso

Ingresso gratuito

Info e contatti:

Sito: www.wikiarte.com